L’importanza della divulgazione scientifica sui social al tempo del virus che esisteva
L'intervista a Gianluca Pistore, autore del libro che ha messo in luce tutte le contraddizioni emerse in questi lunghi mesi di pandemia
18/02/2021 di Enzo Boldi
Vi ricordate la storia di quel virus che prima esisteva, poi non esisteva più e – adesso – esiste ancora con tutti i suoi dannosi effetti sulla vita delle persone di tutto il mondo? Il problema è che quel virus, il Sars-CoV-2 (quello che provoca la Covid-19), c’è sempre stato, anche quando sembra essere sparito. Colpa delle narrazioni non corrette, colpa della polarizzazione del dibattito scientifico che si è spostata su social, trasmissioni televisive, radiofoniche e interviste ai giornali. Di tutto questo parla Gianluca Pistore nel suo ultimo libro: «Il virus che non esisteva». Il giovane divulgatore scientifico, insieme a un vasto numero di esperti di fama mondiale (la prefazione, per esempio, è stata scritta dal Presidente dell’ISS Silvio Brusaferro), ha raccontato la narrazione della pandemia utilizzando criteri oggettivi – cioè i numeri nudi, crudi e (purtroppo) duri – effettuando un consapevole lavoro di fact-checking su quanto raccontato da molti negli ultimi mesi.
LEGGI ANCHE > La storia di Gianluca Pistore e il suo eBook sul Coronavirus ‘nemico invisibile’ bloccato da Amazon Kindle
Con Gianluca Pistore noi di Giornalettismo avevamo parlato già nel mese di maggio quando, in occasione dell’uscita del suo primo libro ‘Coronavirus: la Terza Guerra Mondiale è contro un nemico invisibile’ ci aveva dato una visione di insieme della prima ondata (anche se lui, nel suo ultimo saggio, sottolinea come non si possa parlare di ulteriori ondate visto che il calo dei numeri nei mesi estivi non abbiano rappresentato la fine della prima) della pandemia in Italia. E ora, con «Il virus che non esisteva» ci offre uno spaccato del ruolo della divulgazione scientifica e delle contraddizioni emerse negli ultimi mesi. Da quell’estate in cui tutti si sentivano più liberi, mentre il nemico era alle nostra spalle pronto a riprenderci d’assalto.
«La scelta del titolo è un po’ provocatoria – confessa Gianluca Pistore a Giornalettismo -. Ho deciso di optare per il ‘Il virus che non esisteva’ durante il picco della seconda ondata. Volevo sottolineare, con amara ironia, le evidenti contraddizioni di chi sosteneva che il virus fosse clinicamente morto». I riferimenti sono ben noti: alcune dichiarazioni durante la stagione balneare, hanno provocato una grande disinformazione sul Sars-CoV-2 e sugli effetti della Covid sulle persone. Ma la scienza non si deve fermare a commentare situazioni attuali: deve, necessariamente, prevedere cosa accadrà nel futuro. Almeno il più prossimo.
Il virus che non esisteva, l’intervista a Gianluca Pistore
«Nelle prime fasi della pandemia non avevamo armi cliniche – spiega Gianluca Pistore a GTT -. Non c’erano i vaccini e non c’erano (e, purtroppo ancora non ci sono) cure contro la Covid-19. Avevamo un’arma, però, che non è stata sfruttata: la comunicazione». Per trattare questa problematica, il giovane divulgatore scientifico ha utilizzato un paragone forte, ma molto calzante: «I nazisti riuscirono a convincere i tedeschi che uccidere gli ebrei era giusto, noi non siamo riusciti a convincere le persone che gli effetti di questo virus non fossero solamente sul singolo individuo, ma sulla comunità». Perché se è vero che il Sars-CoV-2 ha colpito, colpisce e colpirà le persone in modo e con effetti diversi. Ma tutto ciò comporta anche effetti collaterali sull’intero sistema sanitario (parliamo di Italia per prossimità, ma anche all’estero è accaduto e sta accadendo qualcosa di simile.
Con Pistore, inevitabilmente, si è parlato anche della divulgazione scientifica in tempi di pandemia: «Si è creato uno scontro polarizzante che da una parte ha fatto crescere il ruolo della comunicazione dei diversi soggetti coinvolti e interpellati, ma dall’altro ha creato fazioni e tifosi di questo o di quell’esperto. Si è polarizzato lo scontro senza entrare nei temi». Responsabilità dei vari scienziati ospiti dei salotti televisivi (e non solo), ma anche dei conduttori che inseguivano i telespettatori e che – spesso – non sono in grado di contestualizzare. Ed è qui che la divulgazione scientifica, spostandosi sulle poltrone davanti alle telecamere – si è inceppata: «Io, nel mio lavoro, mi limito a citare numeri e dati ufficiali. Perché, per la scienza, è meglio una brutta verità che una bella bugia».
La divulgazione scientifica al tempo dei social
Nel suo libro «Il virus che non esisteva», Pistore analizza anche molte delle credenze popolari nate sui social e prive del sostegno di qualsiasi impalcatura scientifica. E lui utilizza i social, in particolare Instagram, dove si è creata una vera e propria comunità di persone ‘affamate’ di verità scientifiche, anche quelle più scomode e brutte. «La cosa bella di questo periodo è stata la creazione di una comunità fatta di persone che amano la scienza – ha detto Gianluca Pistore a Giornalettismo -. Ci focalizziamo sul metodo e sugli strumenti da fornire all’utente social per arrivare a una verità oggettiva, priva di pareri personali. All’inizio ricevevo molti messaggi di persone che mi chiedevano di verificare una determinata notizia che avevano trovato in rete. Ora, invece, sono in tantissimi a segnalarmi direttamente notizie che non corrispondono alla realtà». Ed è questo il bello della rete (e per vedere gli effetti di una comunicazione costruttiva basta fare un salto sul suo profilo Instagram). Anche se, come ha ammesso lo stesso giovane divulgatore ai microfoni di GTT: «Su Ig mi seguono in molti, ma non come Angela di Mondello».
(foto: da copertina de ‘Il virus che non esisteva», di Gianluca Pistore. Grafica di Laura Nuonno)