Come dobbiamo spiegare a Salvini e a Meloni che l’idrossiclorochina è stata sospesa perché scientificamente inefficace?

Non lo dice soltanto l'AIFA, ma la stessa organizzazione mondiale della sanità

23/10/2020 di Gianmichele Laino

Sui social network, soprattutto dopo diverse uscite di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, si è tornato di nuovo a porsi una domanda: l’idrossiclorochina che fine ha fatto come cura contro il coronavirus? I due principali partiti politici d’opposizione hanno lanciato una vera e propria campagna sui social network à la Chi l’ha visto.

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Idrossiclorochina che fine ha fatto: la posizione di Meloni e Salvini

Fratelli d’Italia, ad esempio, ha chiesto convocazione di Aifa e dell’ISS in Senato, per chiarire ragioni legate al divieto dell’utilizzo dell’idrossiclorochina per curare i pazienti Covid e lo stato del progetto per l’utilizzo del plasma iperimmune per lo stesso scopo. Anche Matteo Salvini, che ancora ieri cercava di rassicurare tutti dicendo che i contagiati in realtà non sono tutti malati, ha detto che bisognerebbe riattivare le cure con l’idrossiclorochina.

Ma perché le opposizioni ce l’hanno così tanto con questa tipologia di farmaco? Innanzitutto, perché – a quanto pare – era il vero e proprio mantra del numero uno dei sovranisti a livello mondiale, ovvero Donald Trump. Quest’ultimo aveva affermato in diverse circostanze di fare uso addirittura in maniera preventiva di idrossiclorochina. Ma, quando è stato ricoverato a Bethesda per coronavirus, l’idrossiclorochina non l’ha vista nemmeno con il binocolo.

Idrossiclorochina che fine ha fatto: perché non viene più utilizzata sui pazienti Covid-19

Questo perché prima l’Organizzazione Mondiale della Sanità e poi le varie agenzie nazionali del farmaco, tra cui l’Aifa che è l’agenzia italiana preposta, hanno eliminato l’idrossiclorochina dalla lista dei medicinali utili a combattere il coronavirus. Non si capisce quale altre spiegazioni potrebbe dare in Senato l’Aifa, rispetto a quello che ha scritto – nero su bianco – sul suo sito internet (che è aperto al pubblico ed è consultabile anche dai partiti politici di opposizione).

«La posizione dell’Agenzia – si legge – è stata pertanto quella di prevederne l’utilizzo (nella fase iniziale della pandemia, ndr), ai dosaggi e per i tempi indicati nelle schede, nel contesto di una accurata valutazione del rapporto rischio/beneficio nei singoli casi, considerando attentamente le patologie concomitanti […]. Al momento attuale tuttavia, nuove evidenze cliniche relative all’utilizzo di idrossiclorochina nei soggetti con infezione da SARS-CoV-2 (seppur derivanti da studi osservazionali o da trial clinici di qualità metodologica non elevata) indicano un aumento di rischio per reazioni avverse a fronte di benefici scarsi o assenti».

Dal 26 maggio, dunque, l’idrossiclorochina non è più nella lista dei farmaci utili a curare il coronavirus. Il giorno prima, era stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità a bollare come «non utile se non dannoso» il farmaco normalmente impiegato per l’artrite reumatoide e soltanto in un secondo momento – in base a osservazioni empiriche da parte di alcuni medici in reparto – adattato alle cure contro il Covid-19. L’Oms aveva preso in considerazione uno studio pubblicato su The Lancet che metteva in evidenza i numeri legati ai pazienti curati con l’idrossiclorochina.

Non stupisce, dunque, che questo farmaco sia stato cancellato dalla lista. Che senso ha, allora, continuare a parlarne senza alcuna base scientifica?

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