«I giovani medici sono impauriti e vogliono fuggire dalla Sanità pubblica»

L’intervista a Bruno Zuccarelli, coordinatore dell’Osservatorio Giovani Professionisti di FNOMCeO

06/05/2024 di Redazione Giornalettismo

I numeri parlano chiaro e le ragioni di questo sempre più rapido e progressivo allontanamento dei giovani dalle professioni mediche sono variegate. C’è chi dice basta a causa di una qualità della vita scarsa (turni massacranti e stipendi non adeguati), chi non ha più stimoli a causa di un ambiente lavorativo “tossico” e chi è intimorito dai contenziosi legali che possono sorgere, mettendo a rischio una carriera. Tanti fattori che hanno due risultati: si preferisce un contratto nel privato e non nel settore pubblico e si preferisce andare all’estero.

LEGGI ANCHE > Sempre più giovani medici italiani abbandonano la professione

Una diaspora che va avanti da tempo e di cui abbiamo parlato con Bruno Zuccarelli, coordinatore dell’Osservatorio Giovani Professionisti di FNOMCeO, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri. L’addio alla professione parte addirittura dal periodo di formazione: «La fuga dalle Scuole di specializzazione è dovuta al fatto che alcune discipline sono diventate molto poco attrattive. Basti pensare alle branche chirurgiche». Dunque, si parte dalla base. Da quello step necessario per specializzarsi in un determinato settore della Sanità: «La specializzazione più richiesta è magari la dermatologia, ma le branche chirurgiche sono estremamente rischiose e quindi i colleghi abbandonano». Ma non c’è solamente un’attrattività bassa: «L’altra cosa che va a completare il quadro è il cosiddetto ospedale di formazione – ci ha spiegato Zuccarelli -. L’università doveva implementare queste reti formative per insegnare alle persone la pratica, oltre alla teoria. Perché occorre saper essere e saper fare: uno specializzando non può imparare solamente da un punto di vista teorico, ma deve entrare in una reale scuola di formazione per andare sul campo a vivere le situazioni in prima persona».

La fuga dei giovani medici, l’intervista a Bruno Zuccarelli (FNOMCeO)

I numeri raccolti da FNOMCeO confermano le tendenze che abbiamo fin qui analizzato: «Basta dire che è confermato che ogni giorno tra i sette e i dieci medici abbandonano il Servizio Sanitario Nazionale – ha proseguito Bruno Zuccarelli -. La fuga dei giovani medici e anche degli infermieri è assolutamente un fatto concreto. C’è un deficit di risorse umane enorme, per vari motivi. Il primo riguarda gli errori di programmazione fatti dieci anni fa. Noi, nelle vesti di Federazione Nazionale degli Ordini, abbiamo messo in guardia sulla carenza di specialisti, sottolineando il fatto che la normativa europea, oramai, prevede che proprio la specializzazione sia un requisito essenziale per lavorare nelle strutture pubbliche e nelle strutture accreditate».

Problemi di programmazione che, tra le altre cose, non comportano solo un abbandono, ma una fuga verso l’estero: «Abbiamo avuto, sicuramente, una carenza molto forte. Il problema è che in questi anni il Servizio Sanitario Nazionale è diventato per nulla attrattivo. Ci sono pochi colleghi che partecipano ai concorsi, alcuni di questi non accettano il posto, perché percepiscono una migliore qualità della vita nel settore privato o in strutture al di fuori dei confini italiani».

Non solo formazione

C’è, ovviamente, anche un aspetto economico da tenere in conto quando si parla di un argomento così delicato. Ma si tratta solo di uno degli elementi nel quadro generale: «Qui non si tratta solamente di perdere i nostri cervelli e le nostre persone. Abbiamo questa tendenza rispetto ai giovani medici: prima li facciamo diplomare, poi li facciamo laureare e, infine, li facciamo specializzare. Per poi farli andare via. Non ci aiuterà nemmeno lo switch che ci sarà nel 2027. Oggi i medici che escono dal Servizio Sanitario Nazionale sono molti di più di quelli che entrano. Nel 2027 arriveremo all’equilibrio. Nel 2030, quelli che entreranno nel SSN saranno molti di più di quelli che usciranno. Se oggi, dunque, ci sono carenze gravissime, tra sei anni rischiamo di avere una pletora medica. Questa è la dimostrazione di un Paese che non sa programmare». Un appello inascoltato, visto che lo scorso 24 aprile il Senato ha adottato il primo step per l’abolizione del numero chiuso a Medicina.

FNOMCeO da tempo sottolinea la necessità dell’analisi delle esigenze per orientare i giovani verso i campi di specializzazione che sono più necessari: «Ci sono degli studi ben precisi. Io devo sapere oggi, nel 2024, di quanti cardiologi avrò bisogno nel 2034. Ma non in linea generale. Ho bisogno di sapere di quanti cardiologi avrò bisogno, per fare un esempio, a Napoli. In ogni singolo un quartiere di Napoli. Come lo posso fare questo? Devo sapere se il numero di medici del SSN o i privati andranno in pensione nel 2034 in una determinata zona, al netto di variabili come l’addio alla professione o la scelta dell’estero. Questa programmazione, che può avere delle oscillazioni, deve essere fatta in eccesso o in difetto».

La fuga giovani medici, anche per i contenziosi legali

E le aspettative per il futuro non sembrano essere le migliori. La pandemia sembrava aver segnato il passo verso un futuro in cui la Sanità sarebbe stata al centro degli investimenti. Oggi il paradigma è cambiato e quelle promesse sembrano esser state messe da parte nel cassetto. Per colpa di alcune carenze nelle Scuole di specializzazione e dei contenziosi legali, il Servizio Sanitario Nazionale fatica a trovare una stabilità. I medici del domani potrebbero essere sempre meno, anche se crescono coloro i quali cercano polizze in grado di coprire la responsabilità civile e la tutela legale: «Io ho trovato dei giovani medici che sono impauriti, che non vogliono più stare nell’ambito della Sanità pubblica perché è troppo rischiosa – ci ha raccontato Zuccarelli -. Non vogliono più sottoporsi a questo tipo di stress. Rischiamo di avere una professione low-cost, di bassissima qualità. La Sanità non sembra più una priorità, si può non investire, si possono perdere le risorse umane che se ne vanno in Inghilterra, dove guadagnano il triplo, con una qualità lavorativa migliore e maggiore possibilità di fare carriera. Dobbiamo fare molto sul discorso di formazione, e quindi dobbiamo fare il vero ospedale di insegnamento e di formazione per avviare i colleghi al “saper fare”. E dobbiamo anche sforzarci di migliorare la qualità di vita lavorativa, per evitare il burnout».

Share this article
TAGS