Perché Homecoming di Beyoncé è molto di più di un film su un live al Coachella

«Ladies and gentlemen, welcome to Beyoncé Homecoming 2018!»: la frase che apre il docu-film di Beyoncé Giselle Knowles-Carter è la stessa con cui l’ex Destiny’s Child ha aperto il suo show al Coachella 2018, guadagnandosi il titolo di prima headliner di colore della storia del festival. La pellicola, prodotta dalla stessa protagonista, di due ore e 17 minuti però non è solo il resoconto di un live, ma molto di più.

Perché Homecoming di Beyoncé è molto di più dei un film su un live al Coachella

Le performance al Coachella 2018 sono state il ritorno spettacolare di Beyoncé sul palco dopo la gravidanza gemellare. Un evento pianificato in ogni dettaglio per essere memorabile: quattro mesi di prove per i tanti ballerini e gli oltre 150 musicisti, tutti diretti dalla regia di Beyoncé. «Tornare sul palco è stato molto difficile. Con la gravidanza il mio corpo ha subito molte più trasformazioni di quante io avessi mai potuto aspettarmi: il giorno in cui ho partorito pesavo quasi cento chili – ha raccontato la cantante – E ho anche avuto una gestazione molto sofferta: il battito cardiaco di uno dei miei due bambini si era fermato diverse volte, per questo ho dovuto fare un cesareo d’emergenza». Le due performance sono presenti quasi integralmente nel film, intervallate da diversi retroscena e sguardi dietro le quinte. «È stato uno dei lavori più difficili che io abbia mai realizzato» raccontato Beyoncé, «ma sapevo che dovevo spingere me stessa e il mio team oltre i limiti. Niente del genere era mai stato realizzato in un festival musicale, la performance doveva essere iconica. Lo show era un omaggio ad un’importante parte della cultura afroamericana, doveva dunque essere fedele per chi già la conosceva, ma al tempo stesso essere divertente e illuminante per le persone che avevano invece ancora bisogno di imparare».

Il tributo alla cultura afroamericana

Se sul palco del Coachella Beyoncé ha voluto celebrare la sua cultura di appartenenza attraverso le canzoni e i look, anche in Homecoming è rimane centrale il desiderio di omaggiare la cultura afroamericana. Un tema molto caro sia a lei che al marito Jay-Z e per il quale si sono più volte esposti, in maniera più o meno esplicita – come ad esempio nel video di accettazione del Brit Awards, in cui il ritratto di Meghan Markle era pieno di significati nascosti. Homecoming a sua volta è un percorso emotivo che unisce concept creativo e movimento culturale, che vuole rendere omaggio ai college e università storicamente legati agli afroamericani, da cui provengono anche molti dei ballerini e artisti che l’hanno accompagnata sul palco.

Beyoncé parla di quelle figure che sono state per lei fonte d’ispirazione, tra cui gli alunni HBCU Toni Morrison e Alice Walker, l’attivista Marian Wright Edelman e i ricercatori W.E.B. Du Bois. Nomina anche luminari della cultura come Nina Simone, Maya Angelou, Chimamanda Ngozi Adichie e Audre Lorde. Ma nell’intento di celebrare l’importanza delle HBCU, c’è anche un pizzico di storia familiare: anche suo padre Mathew Knowles, era un alunno della Fisk University. «Moltissime persone con grande ricchezza culturale e intellettuale sono diplomate alle HBCU, come si chiamano le università frequentate da afroamericani, e tra loro anche mio padre», racconta Beyoncé nel film, «c’è qualcosa di incredibilmente importante all’interno dell’esperienza HBCU che deve essere celebrato e protetto».

(Credits immagine di copertina: Instagram beyonce)

 

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