Economia halal in Italia, opportunità di grande crescita e professionalità

Un mercato che per la sola Italia è balzato al valore di 5 miliardi di dollari e promette una crescita ulteriore, quello delle attività “consentite” per i musulmani. La branca della produzione halal della finanza islamica è la frontiera del futuro più prossimo per il nostro paese e Daily Muslim dedica all’argomento una sezione sempre aggiornata, potendosi avvalere dell’apporto di Karim Cristian Benvenuto, italiano di fede musulmana, uno dei più apprezzati esperti di mercati halal per il Medio Oriente e l’Asia. Ci addentriamo con lui tra opportunità e criticità di questi territori quasi del tutto inesplorati.

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Economia halal e mercato in questa fase

È doverosa da subito una precisazione sul significato di halal: «Halal è la parola araba che sta per “lecito”, e riguarda tutto ciò che la sharia consente a un musulmano. La sharia è la legge, letteralmente il “cammino che conduce alla fonte cui abbeverarsi”, perciò tutto ciò che è consentito dalla sharia rappresenta un vero e proprio stile di vita. A questo si contrappone il concetto di haram, “illecito”, dunque da evitare nella produzione e nel lifestyle musulmano».

Come questi concetti possano applicarsi ai meccanismi produttivi contemporanei è qualcosa che sorprende per il suo essere comunque all’avanguardia: «Se prendiamo in considerazione il mercato agroalimentare, vogliamo allora considerare la macellazione dell’animale secondo il rito islamico, che a differenza di quanto comunemente si crede, non provoca la sofferenza dello stesso. Per i musulmani non è solo importante evitare la macellazione di animali già morti, o tipologie come il maiale e il coccodrillo, per esempio, ma è anche importante che si evitino contaminazioni in tutta la filiera della lavorazione e della preparazione, fino all’imballaggio e allo stoccaggio». E no, per quanto riguarda la carne, i musulmani non si nutrono solo di polli, ma anche di conigli, vitelli, agnelli, sempre con uno specifico rituale. Inoltre, non lo diremmo, ma «i più grandi produttori di carne italiani possiedono già i propri dipartimenti certificati halal con relativa filiera».

Economia halal, le parole di Karim Cristian Benvenuto

Il mercato halal non riguarda solo l’agroalimentare: rientrano nel novero anche la cosmetica, la chimica, la farmaceutica, fino ad arrivare alla moda e il turismo muslim friendly. E dal mercato materiale si passa anche a quello immateriale. Anche la finanza deve avere la sua “desinenza” islamica, «perché in materia economica i musulmani e chi tratta con loro non può applicare i tassi d’interesse e deve restare aderente ai valori shaaritici di liceità». Anche questo sembrerebbe piuttosto complesso da realizzare in Occidente, ma interviene il termine sukuk, «più o meno dei fondi di investimenti paragonabili alle obbligazioni italiane, conformi alla sharia, che sono ritenute estremamente interessanti al punto che entro i primi di febbraio il Regno Unito aveva invitato le sue banche a estendere i propri servizi sukuk, avviati già nel 2014, guidando una sperimentazione con il gruppo Hsbc come capofila della sperimentazione».

Tornando, invece, all’economia materiale, abbiamo scritto di come l’Italia sia molto all’avanguardia nel settore alimentare, in realtà uno dei settori per cui è apprezzatissimo il made in Italy. Lo stesso vale peri l campo della moda, e non è un caso se un’altra bandierina da pionieri sia arrivata proprio nella modest fashion: «La prestigiosa boutique islamica di alta qualità è l’ormai celebre Fatima Shop di Cantù (Como), che ha anticipato la tendenza di vestire con gusto made in Italy, prima ancora che i negozi di questo tipo diventassero di tendenza in Occidente dopo essersi affermati in Turchia, in Medio Oriente e nel Sudest asiatico».

Cosa ha determinato l’esplosione del mercato halal nel nostro paese? L’incremento delle presenze, ma anche le conversioni e il milione di cosiddette coppie interculturali (o miste, secondo un’espressione a mio avviso discutibile). «Questo ha determinato un valore  di almeno 5 miliardi di dollari in Italia e di 2.2 trilioni di dollari a livello globale  nei conti precedenti alla pandemia. E ha dunque aperto a tutta una serie di problematiche e di opportunità».

A cominciare dalle certificazioni halal: «C’è un proliferare di enti di certificazione, ma non c’è un ente istituzionale di rappresentanza che regolamenti la situazione con l’autorizzazione del governo. Esiste solo una normativa dello stato italiano e dell’Unione Europea per la macellazione rituale». C’è anche un ulteriore equivoco, diciamo così: «L’ente che determina la certificazione dovrebbe essere ripartito tra autorità religiosa e autorità tecnica. Per adesso qui è individuabile solo la prima, salvo rari casi», con la conseguenza che «in Italia spesso si crede che l’imam abbia anche una competenza tecnica-religiosa applicata alla certificazione e questo può causare problemi». Per far fronte alla nascita di così tanti enti certificatori nei paesi di importazione, «i più grandi paesi in materia di certificazione halal come Emirati Arabi, Indonesia e Malesia, stanno cercando di raggiungere il livello di certificazione Iso a livello globale. Diventerà fondamentale la figura dell’auditor halal formato in modo adeguato e specializzato da un punto di vista tecnico e religioso». Abbiamo visto che i numeri sono importanti e vale davvero la pena di investire: «Sono diversi gli sbocchi di mercato altrimenti inaccessibili. Il mercato locale; quello dei musulmani in Europa; il mercato occidentale in generale ; quello dei paesi musulmani e quello dei paesi africani e sudamericani non a maggioranza musulmana».

Un nodo davvero cruciale per lo sviluppo del settore. Ma è il caso di analizzare anche una branca di questa economia che era in piena ascesa e che la pandemia ha temporaneamente azzerato, lasciando comunque intravedere interessanti sviluppi futuri, il turismo muslim friendly: «Anche negli scenari post- pandemia il turismo halal in Italia mantiene un potenziale enorme perché lo Stivale rappresenta un’attrazione fortissima, è un paese ambito nel quale però mancano servizi dedicati ai musulmani. La prima necessità di chi arriva qui in viaggio è l’alimentazione. Non ci si può nutrire di kebab, ma si desidera assaggiare la cucina del luogo, con proposte e pacchetti specifici conformi agli standard halal».

In Italia è già partito il progetto pilota Italy Mulsim Friendly «per la gestione dell’intera filiera turistica, compresa l’horeca (hotellerie – restaurant – café), e stabilisce il dialogo con gli operatori, occupandosi anche di promuove aziende certificate per proporre pacchetti ai tour operator musulmani se per l’organizzazione di viaggi per i turisti musulmani». Ad aprile, inoltre, sarebbe dovuto partire Puglia Halal Tour, pacchetto muslim friendly: «Era stato venduto primo pacchetto per accogliere 250 turisti campione dal Medio Oriente e dalla Malesia». La pandemia ha cambiato tutto e per i paesi musulmani non è ancora il momento di riprogrammare il settore turistico, ma «parliamo di un indotto incoming che secondo il Global muslim travel index aveva spostato 140 milioni di turisti musulmani nel 2018 e prevedeva entro il 2026 di arrivare a 230 milioni, con un fatturato stimato di 300 miliardi di dollari».

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