Occorre iniziare a scrivere sui giornali di Gpa al di là dell’ideologia

Si parla tanto di gestazione per altri sulla stampa ultimamente, come farlo nel modo corretto? Ne abbiamo parlato con l'avvocata Cathy La Torre

09/06/2023 di Ilaria Roncone

La stampa italiana si dimostra, spesso e volentieri, incapace di parlare di tematiche delicate come la Gpa. In occasione dell’importante sentenza del Tribunale Civile di Roma, annunciata oggi da Gaylex, è stato costituito un precedente su questa tematica: la foto che FdI è stata accusata di aver impropriamente sfruttato per fare propaganda anni fa – quella di due papà gay con il loro piccolo avuto grazie alla Gpa – è valsa al partito una condanna a pagare un risarcimento. Di Gpa si parla tanto in questo periodo sui giornali e se ne parlerà ancora (anche) per questo precedente. In che modo e maniera sarebbe corretto farlo? Lo abbiamo chiesto a Cathy La Torre, avvocata che – insieme ai colleghi Giarratano e Gervasi -, ha esposto la sentenza del caso che li ha visti difendere, come rete di legali, la coppia canadese.

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La Gpa sulla stampa coperta in maniera ideologica

Utero in affitto, a ben vedere, non è un termine che racchiude solo indelicatezza (se non violenza nel vero senso della parola) ma assume un forte connotato ideologico – usato da determinata stampa-, quello dato da chi non vuole che le donne possano disporre del proprio corpo in maniera libera.

Come si può coprire una tematica delicata, che riguarda strettamente l’individualità di singoli, in maniera appropriata quando si fa giornalismo? «Cominciando a chiamarla con il suo nome. L'”utero in affitto” non si può chiamare così perché, per esempio, in Canada – dove la Gpa è di tipo solidale, non si paga, la donna non può prendere nessuna somma di denaro – perché devi chiamare questa cosa per qualcosa che non è? E, in generale, la chiami con un nome che ha un portato dispregiativo non solo per chi lo agisce, ma anche per la donna. Ma se anche la donna stesse affittando una parte del proprio corpo, “l’utero è mio e lo gestisco io” è uno slogan che abbiamo dimenticato?», afferma La Torre ai microfoni di Giornalettismo.

«Conosco donne che hanno fatto la gestazione per altri che hanno detto: “Ho preferito aiutare una coppia che non poteva avere figli e prendere una somma di denaro piuttosto che lavorare tutti i sabati e le domeniche e fare gli straordinari per poter mandare i miei figli all’università”. Non è questo un principio di autodeterminazione di una donna? Perché vogliamo disconoscerlo?».

«Chi siamo noi per dire se la donna lo sta facendo sotto costrizione o se lo sta facendo perché ha deciso di utilizzare una parte del proprio corpo. E le sex worker? Le sex worker sono tutte schiacciate dall’induzione alla prostituzione? Ci sono delle sex worker che, liberamente – guardate il fenomeno di OnlyFans – decidono di guadagnare dei soldi, alcune anche in fretta, e con meno sforzo rispetto ad andare in fabbrica. Chi sono io per dire che stanno sbagliando?».

Un porsi fuori rispetto alle scelte e alle vite degli altri che nessuno (e quindi dalla cronaca della loro vita), più di un giornalista, dovrebbe ricordare bene quando fa il suo mestiere.

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