Il governo sembra non aver capito i problemi del sistema Piracy Shield
Ci sono state delle interrogazioni parlamentari rispetto a quanto accaduto sabato 19 ottobre. Ma le risposte del ministro Urso non sembrano focalizzare al meglio il problema
24/10/2024 di Gianmichele Laino

Ci sono diversi indizi (ormai da tempo diventati prove) rispetto al fatto che questo governo non abbia una sana educazione digitale. Lo abbiamo visto, ad esempio, quando – con una certa approssimazione – ha affrontato il problema sollevato dall’inchiesta della Procura di Roma sulla presunta corruzione che ha visto coinvolto un dirigente di Sogei, lo abbiamo visto quando – come per ogni servizio digitale – si cerca di affidarsi sempre alla piattaforma internazionale con sede al di fuori dell’Unione Europea (basti pensare, ad esempio, agli strumenti per la didattica digitale o anche a Starlink che dovrebbe risolvere il problema della connessione nelle aree bianche in Italia o nelle zone strategiche complesse in cui hanno sede esercito e ambasciate). Probabilmente, però, la summa della mancanza di educazione digitale delle istituzioni c’è stata proprio con il meccanismo del Piracy Shield e con la sua introduzione: il fatto è che il governo non sembra imparare nemmeno dagli errori che, come ha dimostrato il blocco di Google Drive di sabato 19 ottobre, sono stati molto gravi. Le risposte fornite dal ministro del made in Italy Adolfo Urso all’interrogazione portata in aula dalla deputata Giulia Pastorella lo dimostrano.
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Governo e Piracy Shield, l’intervento di Urso
«Gli eventuali disservizi si limiteranno quanto più gli operatori della comunicazione contribuiranno a inserire nella white list i servizi legittimi per evitare che vengano erroneamente colpiti – ha detto il ministro del Made in Italy Adolfo Urso -. Inoltre, la normativa in vigore prevede profili di responsabilità dei provider e degli intermediari online, richiedendo loro di segnalare qualsiasi indirizzo sospettato di attività illecita. Il ministero del Made in Italy è disposto a valutare qualsiasi iniziativa idonea a rafforzare misure di controllo sui soggetti operanti nel settore. È cruciale che i servizi legittimi possano operare senza timore di essere oscurati».
Secondo Urso, insomma, i siti oscurati non hanno collaborato a essere inseriti nella white list che – identificandoli come affidabili – avrebbe impedito il blocco. Tuttavia, la deputata Pastorella ha spiegato che non esiste un processo di candidatura per essere inseriti in white list e che quest’ultima, al contrario, è stata in qualche modo compilata (senza che siano noti i criteri) in fase di validazione della piattaforma Piracy Shield.
Insomma, il sito danneggiato da una segnalazione ingiusta, secondo il ministro, sarebbe responsabile di questo stesso danneggiamento subito, perché non ha provveduto – in qualche modo – a “identificarsi”. Il ragionamento impone una riflessione sui livelli di conoscenza delle dinamiche complesse che regolano un meccanismo come Piracy Shield. E, soprattutto, su quello che è necessario – oggi – per inquadrare al meglio i processi della digitalizzazione del Paese.