Niente Google Bard in Europa (per ora). “Colpa” dell’AI Act?

Le Commissioni LIBE e IMCO hanno dato il loro via libera al testo che, ovviamente, è modificato rispetto alla bozza presentata nel 2021 dalla Commissione UE

12/05/2023 di Enzo Boldi

La velocità con cui sta correndo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha un ritmo maggiori rispetto a quella della burocrazia e della legislazione. Non è un caso che, infatti, il testo dell’AI Act approvato – nel corso della giornata di giovedì 11 maggio – dai membri delle Commissioni (riunite in seduta comune) per il Mercato interno e la protezione dei consumatori (Imco) e quella per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) sia differente rispetto alla prima bozza presentata dalla Commissione Europea nell’aprile del 2021. Il via libera è arrivato poche ore dopo che Google ha lanciato il suo chatbot basato intelligenza artificiale chiamato Bard, ma non per i Paesi UE, e le tempistiche fanno pensare a una stretta correlazione con la nuova versione dell’AI Act.

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Un tempo, secondo le indicazioni iniziali della Commissione UE, il tema principale era quello del riconoscimento biometrico attraverso, dunque, sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Ma dalla presentazione di quel testo, le carte sul tavolo digitale sono cambiate di molto. Nel corso degli ultimi 6/7 mesi, infatti, gli strumenti basati sull’AI generativa (conversazionale e non solo) si sono moltiplicati e ci si è trovati di fronte a un paradosso a cui occorre porre rimedio: l’assenza di una legislazione ad hoc (e non parliamo di trattamento dei dati personali degli utenti) che regolamenti i paletti – senza demonizzare l’evoluzione tecnologica – all’interno del quale queste intelligenze artificiale possano essere sviluppate.

Google Bard AI Act, l’intreccio legislativo europeo

Per questo motivo la votazione favorevole del testo modificato con una serie di emendamenti e il rinvio all’Assemblea plenario del Parlamento Europeo (che dovrebbe tenersi il 14 giugno) è stata rappresenta un piccolo grande passo in quella direzione. E leggendo le relazioni e il nuovo testo della proposta, appare evidente un fatto: Google Bard-AI Act sembrano essere strettamente collegati. Proviamo a spiegare meglio: il mancato arrivo del chatbot Google Bard nei Paesi UE (rispetto ad altri 180 Paesi e territori) potrebbe essere legato proprio alla normativa che sta per essere approvata in Europa. Perché gli emendamenti, curati dall’eurodeputato italiano Brando Benifei e dal suo collega rumeno Dragoș Tudorache, intervengono proprio per restringere le maglie attorno all’intelligenza artificiale, ingabbiando lo sviluppo all’interno di regole precise ed etiche. Senza, ovviamente, demonizzare lo sviluppo tecnologico.

Come è cambiato il testo

Come detto, la prima versione del testo dell’AI Act poneva le sue basi sui limiti del riconoscimento biometrico. Ovviamente quella base è rimasta, ma è sta ampliata. In che modo? Lo spiega l’eurodeputato Dragoș Tudorache in un lungo thread su Twitter.

Innanzitutto, grazie a una collaborazione con l’OCSE, è stata definita una definizione legale fondamentale per inserire i concetti all’interno del tessuto normativo.

«Per “sistema di intelligenza artificiale” (sistema AI) si intende un sistema basato su una macchina che è progettato per operare con vari livelli di autonomia e che può, per obiettivi espliciti o impliciti, generare risultati quali previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano ambienti fisici o virtuali». Una definizione fondamentale che potrebbe risolvere il puzzle Google Bard-AI Act. E la nuova versione del regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, come spiegato da Dragoș Tudorache, prevede diversi obblighi per questi sistemi di AI: «Devono informare gli utenti che stanno ricevendo i risultati di una intelligenza artificiale, devono avere delle salvaguardie contro la generazione di contenuti illegali nell’UE e devono riassumere e divulgare l’uso di materiale protetto da copyright nella loro formazione».

C’è anche una struttura informativa che consentirà alle aziende UE che sviluppano sistemi di intelligenza artificiale di leggere, comprendere e applicare le norme affinché i loro prodotti siano rispondenti alla legge degli Stati Europei. Ovviamente, Tudorache ribadisce un principio: non si vuole demonizzare lo sviluppo tecnologico. Non a caso, in un altro passaggio della sua relazione post-voto nelle Commissione Libe e Imco, si legge: «Senza esagerare con la regolamentazione, abbiamo trovato obblighi fattibili e ragionevoli per coloro che costruiscono tali modelli, che li aiuteranno a costruire una potente IA incentrata sull’uomo e rispettosa dei diritti fondamentali […] Un maggiore controllo sui sistemi di IA generativa che creano testi, immagini, suoni o video realistici, senza ostacolarne lo sviluppo».

Google Bard-AI Act: si attende l’approvazione finale?

La cornice, dunque, sembra essere molto più definita e attuale. Non è un caso che, infatti, il nuovo testo che sarà votato a metà giugno dal Parlamento Europeo, fa espliciti riferimenti a GPT (Generative Pre-trained Transformer), su cui si basano i chatbot conversazionali generativi basati sulla AI), indicando il comportamento:

«I modelli di fondazione generativa, come GPT, dovrebbero rispettare ulteriori requisiti di trasparenza, come la divulgazione del fatto che il contenuto è stato generato dall’intelligenza artificiale, la progettazione del modello per evitare che generi contenuti illegali e la pubblicazione di sintesi dei dati protetti da copyright utilizzati per l’addestramento».

Dunque, si parla anche di protezione del diritto d’autore. Un tema già sollevato da moltissime categorie di lavoratori (come gli artisti visivi e quelli musicali) che hanno visto i loro repertori utilizzati come base per allenare l’intelligenza artificiale. Il cambiamento si è reso necessario. E dopo quanto accaduto in Italia con ChatGPT, questo sembra essere un ulteriore tassello per comprendere i motivi che hanno spinto Google a tenersi lontana dall’Europa. Almeno per il momento.

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