Giappone: Black Lives Matter incoraggia il Paese ad affrontare il razzismo in casa

In Giappone, il razzismo contro i neri e altre minoranze è storicamente considerato un problema lontano

28/08/2020 di Marta Colombo

In Giappone, il razzismo contro i neri e altre minoranze è spesso considerato un problema lontano, che riguarda solo l’America o L’Europa ma non la società giapponese.

La morte di George Floyd, però, ha cambiato qualcosa. Le proteste del movimento Black Lives Matter sono state d’ispirazione per diverse manifestazioni a Tokyo e altre grandi città, aprendo un dibattito importante sul razzismo nel Paese.

A giugno, il network locale NHK aveva trasmesso un segmento in giapponese cui spiegava cosa fosse successo a Floyd e cosa stesse succedendo negli Stati Uniti. Il servizio, prodotto da una trasmissione solitamente guardata dai giovani, aveva provocato reazioni negative per la rappresentazione razzista e stereotipata dei manifestanti della popolazione nera. Persino l’ambasciata americana aveva definito il segmento «offensivo e privo di tatto».

Uno dei critici più vocali era stato Baye McNeil un insegnante afroamericano che risiede in Giappone da 16 anni e che in un tweet aveva fortemente condannato il network. Dopo il suo post sui social e le scuse di NHK, McNeil è diventato una sorta di figura guida del movimento BML in Giappone parlando a diversi incontri e manifestazioni per educare i cittadini.

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Black Lives Matter e il razzismo in Giappone

McNeil ha condiviso la sua esperienza nel Paese, che ha una società da tempo considerata prettamente omogenea sia a livello culturale che etnico. L’insegnante ha spiegato che, nonostante tra gli studenti e le persone che frequenta, c’è apertura mentale e curiosità positiva verso chi è diverso, nel corso degli anni è stato vittima di diversi episodi di «razzismo casuale». 

«Sono sicuramente più al sicuro qui che negli Stati Uniti, non c’è dubbio», ha detto McNeil alla BBC. «Non sono mai stato vittima di violenze o discriminazioni da parte della polizia come sarebbe successo lì, ma ci sono sicuramente dei casi, quasi quotidiani, di discriminazione».

In particolare, i target più frequenti del razzismo in Giappone sono i cosiddetti «hafu», ovvero coloro che hanno un genitore giapponese e uno di un’altra razza. McNeill fa però notare che la differenza sta proprio nella razza che è mischiata con quella giapponese. E’ molto frequente, per esempio, che chi ha un genitore bianco venga considerato attraente e finisca a fare il modello. E’ tutta un’altra storia quando si tratta di «hafu» con un genitore nero.

Naomi Osaka, ad esempio, la tennista americana con madre giapponese e padre di Haiti ha da sempre parlato delle discriminazioni e del razzismo nei suoi confronti. In Giappone è stata vittima di diversi attacchi, da comici che l’hanno derisa per il colore «troppo scuro» della sua pelle a pubblicità che hanno schiarito la sua carnagione artificialmente.

Osaka e McNeil, così come tanti altri giovani e attivisti, sono figure fondamentali per cambiare la mentalità di un popolo omogeneo e tradizionalista come quello giapponese. Nonostante le conversazioni sul razzismo siano ancora prevalentemente un tabù, grazie al movimento internazionale e ai social media, i grandi piccoli passi di quest’estate sono significativi ed emblematici della possibilità di un futuro migliore.

(Immagine di copertina: Arab News Japan)

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