Una garza nell’addome dopo il parto, 33 anni fa: il processo è ancora in corso

19/07/2018 di Redazione

È una vicenda giudiziaria surreale quella vissuta da Nunzia Coppola Lodi, 64enne avvocato di Bergamo. Nel 1985, dopo un parto cesareo, i medici le lasciarono una garza nell’addome. A distanza di 33 anni la causa non si è ancora conclusa. Fu il padre della donna, Francesco, anche lui era avvocato, ad avviare una causa per risarcimento danni. Tra ricorsi e controricorsi, negli anni è stata poi lei in prima persona a condurre il processo. E oggi il compito spetta a suo figlio 33enne Andrea, nato proprio da quel cesareo. La storia viene raccontata oggi dal Corriere della Sera, in un articolo a firma di Giuliana Ubbiali.

Una garza nell’addome dopo il parto, il processo dura da 33 anni

Mamma Nunzia e Andrea lavorano insieme nello studio di avvocato. Lei ricorda che per stringere suo figlio si strappò i punti del parto. «Non avrei potuto, ma non riuscivo a non prendere in braccio mio figlio». Dopo 10 mesi di dolori, ittero e crampi, tornò in ospedale. E ci rimase un mese con la paura di avere un tumore, scoprendo poi che, invece, le avevano lasciato una garza nella pancia. Riassume il Corriere:

Allora c’erano gli ospedali Riuniti di Bergamo e sul risarcimento danni si ragionava in lire. L’ospedale riconobbe l’errore e nel 1998 l’assicurazione pagò, a 13 anni dai fatti. Tradotto in euro, l’avvocatessa ne ha ricevuti 110mila. La causa, però, è proseguita a colpi di ricorsi. Nel frattempo, è stato costruito un ospedale nuovo, che ha cambiato nome, e in quello di allora oggi c’è la Guardia di Finanza.

Nunzia chiede ha chiesto le somme venissero adeguate al tempo di oggi, indennizzi per i mesi di lavoro perso i costi sostenuti di tutti i gradi di giudizio. In 30 anni c’è stata una sentenza del tribunale civile di Bergamo, e tre passaggi in Appello e tre in Cassazione, che recentemente ha rinviato di nuovo in secondo grado per le spese legali. «Sono andata avanti – sono le parole della donna – anche per le persone che, a differenza mia, non sono avvocati e avrebbero accettato l’offerta iniziale. Non è giusto. Se si sbaglia, si deve chiedere scusa e andare incontro alla persona che ha subito l’errore».

(Foto di copertina: un corridoio di ospedale. Fonte: archivio Ansa)

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