Gab, il social network della destra estrema, è offline

«Siamo la startup più censurata, insultata e senza piattaforma della storia, e questo significa che siamo una minaccia per i media e per l’oligarchia della Silicon Valley». A scrivere così è Andrew Torba, il Ceo di Gab, social network salito alla ribalta negli ultimi mesi per essere il luogo prediletto della destra estrema americana. Sulla loro piattaforma c’era anche il terrorista di Pittsburgh.

Gab, il social stendardo della «libertà di espressione»

Il social, nato due anni fa, è stato oscurato dopo la sparatoria antisemita nella sinagoga di Pittsburgh. Robert Bowers, il responsabile dell’attacco, aveva postato proprio su Gab contenuti antisemiti prima di aprire il fuoco. Il social creato dal programmatore Andrew Torba infatti è il social preferito da suprematisti bianchi, neonazisti e membri della destra più estrema americana. Non che fosse l’intenzione iniziale, o almeno non necessariamente. Il programmatore aveva lanciato la piattaforma due anni fa, presentandolo come stendardo della libertà di espressione. «Gab non è a favore di alcun gruppo, inclinazione politica, razza o religione. Chiunque è il benvenuto» aveva dichiarato Torba a Buzzfeed, aggiungendo però che i maggiori social network – vedi Twitter e Facebook – di fatto favoriscono la sinistra. L’orientamento non era palese, ma intuibile. Il social permette di pubblicare dei post, i “gabs“, di un massimo di 300 caratteri senza censura di alcun tipo, sempre entro le linee guida del sito: vietate le minacce violente, i contenuti pornografici illegali e la pubblicazioni di dati personali senza il consenso degli utenti. Eppure, i gabs sembrano riuscire a svicolare dalle regole.

Su Gab i post antisemiti di Robert Bowers

Dopo la sparatoria di Pittsburg, Gab si è trovato senza casa virtuale: GoDaddy gli ha dato un mese per chiudere i battenti, ma il social risulta già offline. Aprendolo, appare un comunicato del suo fondatore, che però rassicura gli utenti: «non andremo da nessuna parte». Si legge anche che a seguito della sparatoria nella sinagoga, il sito ha collaborato attivamente con l’FBI, fornendo alle autorità una grande quantità di dati per risolvere il caso. Secondo Torba, il coinvolgimento di Gab non fa altro che confermare il suo ruolo di difesa della libertà di espressione: «Avete appena fatto di Gab un marchio riconoscibile come la casa della libertà online» scrive Torba nel comunicato a proposito dell’attenzione mediatica degli ultimi giorni. «Non importa cosa scrivete. Non importa cosa dicono le menti sofiste della televisione – continua Torba –  Noi eserciteremo qualsiasi mezzo possibile per mantenere Gab online e difendere la libertà d’espressione e la libertà individuale di ciascuno». In un tweet di difesa aveva affermato che solo il 6% dei gabs pubblicati ha un contenuto che incita all’odio, contro il 6% di Twitter. «Se scendessimo al 3% ci permetterebbero di esistere?» aveva sarcasticamente concluso Torba.

Anche GoDaddy abbandona Gab, ora alla ricerca di un nuovo provider

In passato già Apple e Google avevano bloccato l’app dai loro store per via dei suoi «contenuti violenti», ed erano stati seguiti anche dal sito Medium. Poi c’è stato il ritiro di PayPal e ora Gab è stato abbandonato anche da GoDaddy, il provider che ospitava il sito.  «In risposta alle critiche ricevute nel weekend, GoDaddy ha indagato e scoperto numerosi contenuti sul sito che promuovono e incoraggiano la violenza contro le persone» avevano dichiarato dagli uffici del provider prima di bannarlo. Il controllo sui post infatti non funziona bene come Torba vorrebbe far credere, tanto che i post antisemiti di Bowers erano ancora online ore dopo la sparatoria. Tra gli iscritti al social ci sono diverse figure ” controverse”, per usare un termine politically-correct. Oltre a Bowers, figura tra gli iscritti anche Milo Yiannopoulos, l’ex autore del sito di destra Breitbar, bannato da Twitter per aver inneggiato alle molestie. C’è anche Andrew Anglin, neonazista dietro la pubblicazione Daily Stormer, e il noto suprematista bianco Richard Spencer. Andrew Torba però rassicura i suoi iscritti: «Non potete fermare un’idea».

Garantire la libertà di espressione è una forma di democrazia, ma cosa succede se tale espressione mette a repentaglio la democrazia stessa? Pare che Gab sia la rappresentazione 2.0 del paradosso. E la risposta giace nel suo essere offline.

(Credits immagine: logo gab Wikimedia Commons)

 

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