L’avvocato Francesca Florio (checcaflo su IG): «Non credo che il diritto all’oblio scavalchi il diritto di cronaca»

La divulgatrice che spiega la legge su Instagram ci ha fornito la sua opinione rispetto al cambiamento che la riforma Cartabia ha operato sul diritto all'oblio

03/01/2023 di Redazione

La riforma Cartabia, tramite un emendamento del deputato di Azione Enrico Costa, ha potenziato il diritto all’oblio così come lo abbiamo conosciuto finora. Con l’entrata in vigore della riforma della Giustizia, a partire dal 1° gennaio 2023 il diritto all’oblio è cambiato in maniera tale che nei tre giorni successivi alla chiusura favorevole di un processo o procedimento penale, alla persona interessata viene data la possibilità di ottenere un procedimento di deindicizzazione dalla cancelleria del giudice che lo ha assolto. Con questo cambiamento si garantisce, tra le altre cose, una maggiore rapidità nell’emissione del provvedimento richiesto poiché affidato alla cancelleria e non al giudice. Per inquadrare i cambiamenti del diritto all’oblio così come è stato concepito nella riforma Cartabia abbiamo provato a chiedere a Francesca Florio, avvocato e divulgatrice su Instagram (checcaflo) che – nel quotidiano – approfondisce tematiche legali e che ha dato vita alla piattaforma Dai miei legali per rendere più accessibile il contatto con gli operatori della legge a tutti.

LEGGI ANCHE >>> Diritto all’oblio e diritto di cronaca possono convivere? L’opinione di Pablo Trincia

«Una conquista di civiltà più che mai necessaria per l’avanzare degli strumenti tecnologici»

«La norma è per davvero una conquista di civiltà resa oggi più che mai necessaria dall’avanzare degli strumenti tecnologici – afferma Florio ai microfoni di Giornalettismo -. Fino a 20 anni fa il tema sarebbe stato forse anche marginale, dato che i giornali cartacei venivano accartocciati e con loro le notizie dimenticate. La memoria sempiterna del web invece si tramuta troppo spesso in una condanna che viene inflitta nonostante una declaratoria di innocenza. L’essere associato per sempre ad un brutto reato anche dopo che sia stata provata la propria estraneità condiziona inevitabilmente la vita di una persona, soprattutto perché spesso la sentenza di un giudice non basta a sopire i sospetti e le chiacchiere tra il pubblico».

«Quando in ballo vi sono diritti così delicati, gli stessi principi devono essere validi per tutti. In ogni caso – prosegue l’avvocato – la normativa europea che ha dato l’impulso all’espansione del diritto all’oblio stabilisce comunque che il diritto di cronaca prevale se il fatto è ancora rilevante per l’interesse pubblico. Già prima della riforma Cartabia le sentenze prima di essere divulgate dovevano essere oscurate nella parte in cui riportavano i dati sensibili dei soggetti coinvolti, condannati o meno. La norma introdotta non preclude affatto la diffusione delle notizie inerenti al procedimento mentre è ancora in corso, ma si limita a fornire la possibilità all’imputato prosciolto di richiedere la deindicizzazione, in rete, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento. Perché bisogna essere per sempre associati a qualcosa che secondo la giustizia non è stato commesso?».

«Non credo che il diritto all’oblio scavalchi il diritto di cronaca»

Secondo Francesca Florio, quindi, l’emendamento così come è stato concepito e approvato non va a scavalcare il diritto di cronaca: «Non credo affatto che lo scavalchi, ma che piuttosto lo riporti verso i binari della correttezza. La cronaca si occupa di attualità, non di rievocare mostri del passato la cui esistenza è stata sconfessata da tre gradi di giudizio. Non viene posto un divieto assoluto di trattare un qualche tema quanto un limite agli abusi. Si immagini il caso di una persona che viene accusata di un crimine orribile, tra i peggiori esistenti, come la pedofilia, e che pure dopo essere stato assolto all’esito di un processo durato anni ed anni sia costretto a vedere il proprio nome affiancato a quel turpe delitto per sempre, una tortura perenne».

«Non credo – prosegue si tratti di un limite al diritto alla cronaca ma di un limite agli abusi, che spesso e volentieri, sotto il baluardo del diritto alla cronaca vengono perpetrati. La norma non impone ai giornali di cancellare integralmente gli articoli scritti o di scriverne di nuovi ma tutela l’interessato impedendo che nei motori di ricerca digitando il suo nome compaia il provvedimento relativo, sicuramente ci saranno casi portati all’attenzione delle Corti che riusciranno a chiarire l’effettiva portata della norma, a partire dalla definizione di motore di ricerca sino a giungere agli adempimenti che si potranno in concreto esigere dalle testate giornalistiche».

Alla fine dei conti, quindi, tutto starà nel capire – per una norma che non delinea in maniera precisa quello che accadrà – in che modo si concretizzerà.

Share this article