Fornitori cinesi e lavori forzati: le accuse alla Apple

La multinazionale americana è accusata di essersi rifornita, in passato, da fornitori che sfruttano il lavoro dei detenuti politici

10/08/2020 di Daniele Tempera

È polemica su Apple in Usa per una vicenda che lega l’azienda guidata da Tim Cook, allo sfruttamento del lavoro presente nell’area dello Xinjiang, nel nord ovest della Cina. In particolare la multinazionale americana avrebbe acquistato in passato uniformi per i suoi shop mondiali da aziende dell’area balzata tristemente all’attenzione delle cronache mondiale per la deportazione e lo sfruttamento lavorativo degli uguri, etnia turcofona di religione musulmana  che vive nel nord ovest della Cina, con la quale Pechino combatte informalmente da anni una guerra per frenare le spinte separatiste che interessano l’area.

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Appena una settimana fa Tim Cook aveva dichiarato che Apple non avrebbe tollerato prodotti provenienti da sfruttamento lavorativo o frutto di lavori forzati, ma come afferma il Guardian, si è rifiutato di commentare se l’azienda non abbia importato prodotti di questo tipo in passato.  Il governo degli Stati Uniti ha emesso,  nello scorso mese, varie sanzioni per aziende cinesi accusate di basarsi sullo sfruttamento della manodopera, tra le quali il gruppo Esquel. E fino a poco tempo fa lo stesso sito della Esquel designava Apple come “grande cliente”, secondo quando riportato  Australian Strategic Policy Institute (ASPI), che ha prodotto uno studio accurato sull’uso della forza lavoro nei campi di lavoro dello Xinjiang.

La multinazionale americana ha dichiarato in una nota ufficiale invece che “Esquel non è una fornitrice diretta di Apple”, ma che i loro fornitori utilizzano cotone proveniente da aziende di Guangzhou e del Vietnam. Precisano anche che nessun fornitore opera nello Xinjiang e che non c’è nessun piano per approvvigionarsi dalla regione in questione. Il punto è che l’azienda ha declinato di rispondere alla domanda di dove provenga invece il cotone grezzo. Esquel ha venduto intanto ad aprile le sue quote nello Xinjiang Production and Construction Corps, associazione governativa e semi-militare della regione, che produce quasi un terzo del cotone prodotto in Cina, ma il problema dell’approvvigionamento da parte dei marchi occidentali rimane e non riguarda, molto probabilmente, solo Apple.

 

 

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