E ora Facebook se la prende con i giornalisti che parlano del social in maniera indipendente

Cerca di condannare la prassi giornalistica dell'embargo (dopo averla utilizzata in passato per le sue comunicazioni aziendali)

19/10/2021 di Gianmichele Laino

È arrivato il momento della resa dei conti. Un atteggiamento davvero incredibile da parte di Facebook contro i giornalisti per le inchieste che sono state pubblicate o – come in questo caso – che stanno per essere pubblicate sul social network. Un thread del genere, come quello postato dall’account Twitter ufficiale di Facebook Newsroom e firmato dal vicepresidente delle Comunicazioni della piattaforma John Pinette, dovrebbe essere la notizia del giorno su tutti i giornali per le sue implicazioni. Invece, è quasi passato sotto silenzio. Praticamente, Facebook ha annunciato quali saranno le sue future strategie nei confronti della stampa. 

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Facebook contro giornalisti, il thread di John Pinette è un serio monito da non sottovalutare

Alla luce degli ultimi accadimenti su Facebook – soprattutto dopo l’audizione al Congresso di Frances Haugen, la whistleblower del social network di Mark Zuckerberg -, la società ha deciso di cambiare strategia comunicativa. Lo fa attraverso i propri canali, attraverso i propri account, attraverso i propri dipendenti: Facebook si sta comportando esattamente come se fosse un “quinto potere”. Non solo: un quinto potere che vuole delegittimare il quarto, quello della stampa.

Facebook è venuto a sapere che una serie di testate, in maniera coordinata tra loro, farà uscire una serie di inchieste legate a una serie di documenti interni di Facebook che sono state messe a disposizione dei vari team editoriali. Una prassi che non ha nulla di anomalo: si tratta semplicemente di documenti sottoposti a embargo. È una pratica che diverse aziende, diverse associazioni, diversi uffici di comunicazione adottano nei confronti dei giornali: per gestire meglio una notizia esclusiva, si rilascia un’indicazione sulla data e sull’orario di pubblicazione. Anche Facebook, in passato, ha utilizzato il sistema dell’embargo. Adesso, il vicepresidente delle Comunicazioni Pinette la sta presentando come se fosse uno strumento che delegittima il contenuto giornalistico degli articoli.

Il comunicato di Facebook che suona molto inquietante

«Ci aspettiamo che la stampa ci ritenga responsabili, data la nostra portata e il nostro ruolo nel mondo – ha scritto Pinette -. Ma quando le segnalazioni travisano le nostre azioni e motivazioni, crediamo che dovremmo intervenire […]. In questo momento più di 30 giornalisti stanno finendo una serie coordinata di articoli basati su migliaia di pagine di documenti interni trapelati. Abbiamo sentito che, per ottenere i documenti, i media hanno dovuto accettare le condizioni e un programma stabilito dal team di pubbliche relazioni che ha lavorato su questi stessi documenti trapelati in precedenza (il sistema dell’embargo appunto, ndr). Una selezione curata di milioni di documenti su Facebook non può in alcun modo essere utilizzata per trarre conclusioni eque su di noi. Internamente, condividiamo il lavoro in corso e le opzioni di dibattito. Non tutti i suggerimenti resistono al controllo che dobbiamo applicare alle decisioni che riguardano così tante persone».

Alla fine, la conclusione del thread suona molto sinistra: «Per quei media che vorrebbero superare una campagna di ‘trucchi’ orchestrata ad arte, siamo pronti a impegnarci sulla sostanza». Insomma: Facebook ritiene di voler dettare la linea editoriale su se stessa, fornendo informazioni ad alcuni editori e non ad altri (che invece operano in maniera critica nei confronti del social network).

La domanda che ci si pone è: Facebook – responsabile della distribuzione dei contenuti sulla sua piattaforma – garantirà equità di trattamento a tutti i siti di informazione? Oppure prediligerà quelli che non sono stati critici nei suoi confronti, penalizzando gli altri? E visto che Facebook è diventata una piattaforma sempre più organica al mondo delle notizie, un eventuale atteggiamento del genere potrebbe essere tollerato dalle istituzioni e da tutti quelli che partecipano al dibattito pubblico?

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