La querelle Casapound-Facebook non è finita: il movimento annuncia il ricorso

Il tribunale di Roma aveva dato ragione a Meta per aver rimosso da Facebook i profili di Casapound

27/12/2022 di Gianmichele Laino

Nei giorni immediatamente precedenti al Natale è stata comunicata la sentenza del tribunale di Roma sulla questione Facebook-Casapound. Com’è noto, in passato, il social network di proprietà di Meta aveva provveduto a bannare i profili del movimento e di alcuni suoi rappresentanti per violazioni delle policies della piattaforma. Tuttavia, per rispondere alle istanze urgenti presentate da Casapound, in un primo momento il tribunale aveva chiesto a Facebook di reintegrare il profilo di Casapound stessa, appellandosi all’articolo 700 del codice di procedura civile, basandosi sul principio di mancata garanzia del pluralismo politico. Come vi avevamo già spiegato il 24 dicembre, tuttavia, questo atto del tribunale, in realtà, non è entrato nel merito della questione, ma ha semplicemente posto in essere delle garanzie nei confronti del movimento politico. Una volta che il tribunale di Roma è entrato nel merito della questione, la giustizia ha dato ragione a Facebook nel giudizio di primo grado, sostenendo – anzi – che il social network aveva il dovere di rimuovere la pagina Facebook del movimento. Ora, però, Casapound ha annunciato ricorso.

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Facebook-Casapound, il movimento annuncia ricorso

«Non è certo un’azienda privata come Meta che può decidere se sia o meno ‘un’organizzazione pericolosa’ né, tanto meno, limitarne arbitrariamente i mezzi di comunicazione – hanno scritto i dirigenti di Casapound in una nota -. La decisione del tribunale è viziata da una errata interpretazione dei contenuti pubblicati sulla pagina stessa, che sono perfettamente legittimi, anche alla luce di alcune sentenze della Corte di cassazione. Forte di questo, Cpi appellerà e, nel mentre, continuerà a utilizzare tutti gli altri mezzi di comunicazione a sua disposizione e continuerà la sua battaglia contro chi si arroga il diritto di decidere chi può parlare e chi no».

Inoltre, Casapound – nel presentare l’annuncio del ricorso – ha anche spiegato come sia necessario prevedere un quadro normativo all’interno del quale regolare il ruolo dei social network nella società. L’appello porterà avanti la questione anche nei prossimi mesi, estendendo la giurisprudenza sull’intervento dei social network nei confronti di pagine o account che hanno una finalità politica o sociale. Nella sentenza di primo grado, il tribunale di Roma aveva spiegato che i discorsi d’odio «non rientrano nell’ambito di tutela della libertà di manifestazione del pensiero» e che, quindi, non potevano essere utilizzati nell’ambito della definizione della libera espressione.

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