Faber Nostrum è un’occasione mancata oppure no?
01/05/2019 di Gaia Mellone
Di discussioni intorno alla musica come quelle scatenate dalla pubblicazione di Faber Nostrum, album corale che unisce diverse band indie, non se ne vedevano da un po’. Il polverone però era in realtà preannunciato: quando si decide di toccare un mostro sacro come Fabrizio de André è difficile uscirne incolumi. E forse l’Indie non era pronto a questo confronto.
Faber Nostrum è un’occasione mancata oppure no?
Partiamo dal primo dilemma: Faber Nostrum è un tributo o un album di cover? parliamo di sfumature, ma hanno un certo peso. L’intenzione che emerge ascoltando le tracce del disco sembra essere quella di omaggiare de Andrè, non di farne delle cover, ma il confine è tracciato a matita e facilmente sfumabile. Anche perché, comunque la si pensi, sorge un secondo quesito: meglio timore reverenziale o reinterpretare per non assomigliare?. Ecco, Faber Nostrum, sinceramente, non si capisce bene da quale lato stia.
Due gli esempi lampanti, che hanno scatenato le diverse fazioni in tutte le sezioni dei commenti possibili: Il bombarolo di Willie Peyote e Verranno a chiederti del nostro amore di Motta. Willie Peyote ha deciso di reinterpretare completamente musica e testo, intervenendo con nuove strofe con rimandi attuali e contemporanei, e De André diciamo che si sente poco. Sacrilegio? oppure rispetto, proprio perché rifare De André è impossibile? Perché se lo fa Willie Peyote non va bene, ma se lo fa Anastasio dal palco di X Factor viene proclamato genio creativo?
Motta invece si muove con delicatezza, cambia poco, forse in alcuni passaggi addirittura evoca la sensibilità del cantautore genovese. Anche lui però non sfugge alla gogna: si è permesso troppo cercando di imitarlo, o lo ha riproposto fedelmente? Lo ha fatto suo o ha cercato di essere qualcun’altra? Infine, nel mezzo c’è Colapesce che, pensando di farsi furbo forse, chissà, fa la cover della cover: la sua versione de La canzone dell’amore perduto è un rifacimento della cover di Battiato. Scelta saggia per non correre rischi? Beh, anche Battiato ne sa, e anche il suo è un terreno minato. Nel player, la lista completa delle tracce.
Faber Nostrum divide, e forse è questo il bello
La reazione sui social network all’album è stata davvero di 50 e 50. Da una parte i puristi che gridano allo stupro dei testi di Faber, dall’altro gli innovatori che apprezzano la nuova chiave più moderna. Da un lato chi dice che Fabrizio De André è intoccabile, dall’altro chi invece sostiene che ciò che rimane uguale a se stesso inevitabilmente scompare e viene dimenticato. E a quel punto interviene chi difende l’assoluta e perenne attualità di Fabrizio De André. Insomma, non se ne esce.
Ascoltando l’album cercando di non fare paragoni con il cantautore scomparso 20 anni fa, la reazione è pressoché la stessa. Alcune canzoni sono carine, altre meno, alcune vien voglia di riascoltare, altre di saltare alla successiva dopo solo i primi 30 secondi. Su chi sia quale, lasciamo spazio all’immaginazione e al gusto personale.
Del resto, De André in un modo o nell’altro lo cantano tutti già da un po’: dai cantanti più o meno amatoriali nei bar delle diverse città italiane, fino ai partecipanti del karaoke più “impegnati”, passando per i fan di Luca Marinelli ne Il Principe Libero. Dagli artisti emergenti che sperano di farsi notare sul web fino al figlio Cristiano – non dimentichiamoci di De André canta De André – e alle classiche voci della musica italiana. Perché un album di cover esisteva già. Era Faber, amico fragile. L’album era la registrazione del concerto tributo del 12 marzo 2000, che riunì Celentano, Finardi, Vecchioni, Ligabue, Jovanotti, Bertè, Vasco e Battiato. Quest’ultimo aveva anche incluso due cover di De André nel suo album Fleur: La canzone dell’amore perduto – quella ripresa da Colapesce – e Amore che vieni, amore che vai. Però è Battiato.
L’indie forse non era pronto
L’indie può piacere o non piacere, ma ha sicuramente riavvicinato le nuove generazioni alla musica più cantautorale e meno commerciali (abbiamo detto meno, termine relativo e non assoluto), dove a dominare sono il testo e le immagini che vengono evocate, le storie che vengono raccontate, e la musica si fa sottofondo, accompagnamento, funzionale alle parole. C’è chi ci riesce bene, chi ci riesce meno bene, e chi non ci riesce proprio, ma ogni tempo ha i suoi geni e i suoi mostri – non sacri.
Ascoltando Faber Nostrum si percepisce la voglia e il desiderio degli artisti di poter finalmente registrare quelle parole che li hanno spinti a prendere in mano una chitarra o una penna e cominciare a comporre, scrivere e raccontare. Forse però, sarebbe stato meglio aspettare ancora. L’indie di oggi non sembra ancora abbastanza maturo per confrontarsi con la scuola genovese, romana e bolognese che hanno accompagnato i primi amori dei nostri genitori. O forse, siamo solo dei melanconici, a cui il passato sembra sempre migliore. E a chi, se non ai melanconici, dovrebbe parlare De Andrè?
(credits immagine di copertina: Instagram sony_legacy_it)