Chi è causa del suo mal pianga se stesso: hanno giocato con l’AI e adesso hanno paura del giocattolo?

Una riflessione sulle motivazioni che hanno spinto gli esperti di intelligenza artificiale a scrivere la lettera di denuncia

31/03/2023 di Gianmichele Laino

Eravamo abituati alle ampolle che contenevano le acque del Po e che venivano sbandierate ai quattro venti come simbolo politico. Adesso, con la tecnologia che avanza, possiamo mettere in bottiglia un bel quantitativo di lacrime da coccodrillo. Perché il sapore, leggermente salato, della lettera che è stata sottoscritta da diversi esperti di intelligenza artificiale (ma anche da accademici e membri di varie aziende di Big Tech, da Meta ad Amazon, passando per Microsoft e per Google) è esattamente quello di chi, dopo essersi reso conto di aver realizzato uno strumento potenzialmente distruttivo, cerca di porre un argine adducendo motivazioni di carattere etico. O normativo.

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Evoluzione AI, la lettera e il suo sapore dolce-amaro

Non è opportuno addentrarsi in paragoni che possono essere esagerati o blasfemi. Tuttavia, è piena la storia di lettere di accademici e tecnici che tentano di giustificare le proprie ricerche dopo essersi resi conto del potenziale rivoluzionario per l’umanità così come siamo abituati a concepirla. L’intelligenza artificiale – o almeno le ultime sue applicazioni – rappresentano uno strumento che ha bisogno di una gestione per non deflagrare. Ma questa gestione doveva essere prevista a monte, dopo i primi esperimenti e dopo le prime concrete possibilità di realizzazione di testi o immagini venuti fuori dal nulla.

Adesso, lo stato di avanzamento dei lavori è davvero incredibile. Così come lo sono i volumi di investimento che sono stati previsti. In un momento così particolare, in cui il mondo economico legato al digitale è stato investito in pieno dall’aumento dei tassi di interesse, del costo del denaro, dell’inflazione, ecco che il costo del lavoro è diventato un peso (non a caso arrivano a questa altezza cronologica i licenziamenti di Meta, di Amazon e di altre aziende Big Tech). E – sempre contestualmente – sono evidenti gli investimenti che questi colossi stanno facendo in un’intelligenza artificiale che ha come scopo primario quello di ottimizzare i processi produttivi (piaccia o non piaccia, la realizzazione di testi, di immagini, di video deepfake sono tutti corollari di questa ratio primigenia).

Per tornare ai livelli di ricavi del periodo pandemico, le grandi aziende del digitale hanno bisogno di nuovi strumenti rivoluzionari. Su cui hanno investito, su cui stanno basando i loro business plan del futuro. Su cui, ormai, sembra davvero difficilissimo tornare indietro. Ecco perché la richiesta di sei mesi di tempo per prendere contromisure normative ed etiche sembra un palliativo. Ecco perché un provvedimento come quello del Garante della Privacy italiano (unico al mondo) potrebbe, potenzialmente, anche essere ignorato: il pagamento di una sanzione – che potrebbe oscillare tra i 20 milioni di euro e il 4% del fatturato globale – potrebbe addirittura essere il male minore rispetto allo sviluppo di un business che ha come ordine di grandezza quello dei miliardi.

E pazienza se questa rivoluzione sovvertirà i principi dell’etica e delle leggi. Tanto, da qualche tempo a questa parte (dapprima più silenziosamente, poi con sempre maggiore evidenza), i colossi di Big Tech hanno più volte dimostrato scarsissimo interesse per questi principi. Chi è causa del suo mal, insomma, pianga se stesso.

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