Come l’Europa ha sottovalutato il rischio di pandemia a 72 ore dalla scoperta del paziente 1 a Codogno

Siamo in Svezia, martedì 18 febbraio. Il documento finale della riunione dei delegati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) valuta la diffusione del coronavirus nel continente «sotto controllo», occupando solo 20 dei 130 punti conclusivi. Meno di 72 ore dopo, ironia della sorte, in Italia viene individuato l’ormai tristemente celebre paziente 1 di Codogno. Si tratta del primo caso di coronavirus che, grazie all’intuizione di un’anestesista, porterà alla luce la diffusione massiccia del Sars-CoV-2 nel Nord Italia. Solo un paio di settimane più tardi anche il resto d’Europa avrebbe fatto la medesima scoperta sul proprio territorio.

LEGGI ANCHE >>> La definitiva politicizzazione della plasmaterapia: De Donno in diretta insieme a Salvini

Come la pandemia è stata minimizzata dalla sanità pubblica dell’Europa

Il rischio di diffusione, all’epoca, è stato considerato basso dai tutori europei della sanità pubblica. I membri del Consiglio consultivo dell’Ecdc – tra cui anche l’italiana Silvia Declich dell’ISS – non hanno compreso la portata della pandemia che, di lì a qualche settimana, avrebbe sconvolto il mondo intero con lockdown in ogni sua parte. Cosa era successo fino a quel momento? In Europa i casi diagnosticati erano 45, compresi i due turisti cinesi allo Spallanzani di Roma. Era morto un turista cinese originario di Wuhan a Parigi. Tutto questo, stano al rapporto, è stato inquadrato in termini di infezioni locali  che «sembrano essere lievi» e poco localizzabili. Rischio per il sistema sanitario: «basso o moderato».

Nessuno ha agito concretamente

Qualche rappresentate ha provato a mettere in guardia la popolazione del proprio paese (Austria e Slovacchia), qualcun altro ha manifestato dubbi sulle strategie di contenimento adottate fino a quel momento (Germania). La nostra rappresentate, Silvia Declich, si domandava «se gli asintomatici possano trasmettere la malattia e se vadano messi in quarantena», sottolineando l’importanza della quantità di dati a disposizione per valutare la situazione in maniera più efficace. Facendo preciso riferimento a come tutto possa cambiare molto rapidamente – come poi è, effettivamente, avvenuto – il suggerimento finale è quello di attenersi alle linee guida dell’Oms. In quel frangente – altra grande mancanza – non è emerso nessun piano per procurarsi i Dpi necessari (nonostante fosse stato individuato un problema di carenza). La richiesta del membro danese del consiglio di testare chi si trova in terapia intensiva viene accantonata, stabilendo che il solo criterio per essere sottoposti a tampone fosse l’aver viaggiato a Wuhan. Solo sette giorni dopo, il 25 maggio – in seguito alle prime due morti in Italia – i criteri sarebbero stati adeguati alla portata del contagio.

(Immagine copertina da Pixabay)

 

 

Share this article