Enzo Tortora 31 anni dopo. L’emblema della malagiustizia e delle accuse facili

18/05/2019 di Enzo Boldi

Era il 18 marzo del 1988 e fu il giorno in cui Enzo Tortora morì per la seconda volta. La prima, che lo uccise moralmente, avvenne il 17 giugno del 1983 quando fu svegliato nella notte romana dai carabinieri che lo arrestarono con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti e associazione a delinquere di stampo mafioso. Accuse gravi che lo portarono in carcere insieme ad altre 856 in un maxi-blitz in tutta Italia. Il suo nome venne fuori dalle dichiarazioni di alcuni pentiti pregiudicati. Tutti vicini ai clan camorristici. Accuse che, lo portarono a subire un doppio processo, uno mediatico e uno giudiziario. Sette mesi di carcere, una condanna a dieci anni basandosi sui racconti dei pentiti, poi l’assoluzione. Ma Enzo Tortora, pochi mesi dopo la sentenza della Cassazione, si è spento per un male incurabile che negli anni tormentati ha avuto la meglio sul suo fisico. Un tumore che, insieme a una giustizia sommaria, lo ha tolto ai suoi cari per la seconda volta.

Quello di Enzo Tortora resta il caso più clamoroso di errore giudiziario della storia della Repubblica. Le accuse contro di lui partirono da diversi pentiti legati ai clan camorristici. In molti, anche alcuni media, lo avevano dipinto come uno spacciatore seriale al servizio del boss Raffaele Cutolo. Voci sparse e diffuse che crearono un senso di emulazione, creando un vero e proprio mostro per cancellare la figura candida di uno dei conduttori più amati della televisione italiana. Ai primi pentiti se ne aggiunsero altri 19: tutti raccontavano la stessa ‘verità’ e, alla fine, senza altre prove concrete, il tribunale prese per buoni i loro racconti e condannarono lo storico volto pulito di Portobello a 10 anni di carcere.

Il caso Enzo Tortora, l’emblema della malagiustizia

Nel frattempo Marco Pannella e i Radicali presero a cuore il suo caso e lo nominarono presidente del partito. Il primo grado di giudizio sembrava essere intaccabile. Le accuse di tutti quei pregiudicati avevano creato una realtà parallela che aveva convinto anche i giudici a seguire la loro onda. Ma la vita reale raccontava altro perché si trattò di un vero e proprio disegno: creare un mostro per creare un caso mediatico e far scemare tutti gli altri nomi coinvolti. Un disegno della criminalità organizzata che è riuscita a sfruttare il passaparola per gettare fango su Enzo Tortora.

Nessuna indagine e nessuna scusa

E la scelta del personaggio da sacrificare per oscurare gli altri è caduta su di lui. Per la sua innocenza dovette aspettare alcuni anni e il sigillo finale sulla questione – oltre all’assoluzione in secondo grado del 1986 – arrivò il 13 giugno del 1987 con il giudizio della Corte di Cassazione che lo riabilitò completamente per non aver commesso nessuno dei reati. Meno di un anno dopo, devastato moralmente da questa ingiustizia lunga anni e da un tumore, morì a Milano. Ancora nessuno ha chiesto scusa per quanto accaduto, nessuno ha fatto un passo indietro per quel fango e quella condanna per due crimini infami. Le indagini non hanno previsto pedinamenti, controlli, intercettazioni o ispezioni bancarie. Nulla di tutto ciò. Eppure il processo giudiziario e mediatico lo ha definito colpevole. L’unica sua colpevolezza, però, era quella di essere innocente.

Share this article