Ecco perché ci dimentichiamo le cose quando passiamo da una stanza all’altra
22/01/2014 di Redazione
Siete a casa vostra, o in ufficio, concentrati su quello che state facendo. A un certo punto vi dirigete a passo sicuro verso un’altra stanza, ne varcate la soglia e, improvvisamente, vi dimenticate il motivo di quello spostamento e restate per un attimo confusi, chiedendovi: «Per fare cosa sono venuto qui?». Capita a tutti, quotidianamente. Ma «l’incidente» – se così si può chiamare – dura solo qualche secondo e nessuno, in fin dei conti, presta mai troppa attenzione a questi improvvisi vuoti di memoria.
COLPA DELLA PORTA – Fino a oggi. Un team di ricercatori statunitensi dell’Università di Notre Dame, infatti, ha pubblicato uno studio che sembra svelare il mistero: cos’è che ci fa dimenticare il motivo per cui siamo andati dal soggiorno alla cucina, quando quel motivo ce l’abbiamo in mano sotto forma di tazza sporca da mettere nel lavandino? Secondo gli esperti sarebbe tutta colpa di una porta. O meglio, dell’attraversamento di una porta che, a quanto pare, tenderebbe a farci dimenticare.
L’ESPERIMENTO – Gabriel Radvansky, Sabine Krawietz e Andrea Tamplin, i tre psicologi che hanno condotto lo studio, lo chiamano «effetto porta d’ingresso»: e per dimostrarne l’esistenza hanno chiesto ad alcuni volontari di sedersi davanti a una specie di videogame dove un avatar poteva muoversi attraverso le frecce direzionali, spontandosi attraverso diversi ambienti per portare alcuni oggetti da una stanza virtuale all’altra. Una volta raccolto un oggetto, pronto per essere portato altrove, questo spariva in una zainetto virtuale posto sulle spalle del protagonista, in modo che diventasse invisibile al volontario.
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«EFFETTO PORTA D’INGRESSO» – In alcuni casi, per portare l’oggetto a destinazione era sufficiente attraversare la stanza, in altri i volontari dovevano spostarsi attraversando una porta. Di volta in volta, i ricercatori hanno chiesto ai volontari di dire quale oggetto si trovasse nello zaino e, incredibilmente, quando il personaggio si spostava in un’altra stanza attraversando una porta sarebbe diventato molto più difficile ricordare di che oggetto si trattasse. L’«effetto porta d’ingresso» sembrerebbe verificarsi anche nel mondo fisico: lo stesso esperimento è stato nuovamente ricondotto chiedendo a nuovi volontari di muoversi attraverso le stanze, portando di volta in volta i vari oggetti dentro una scatola da scarpe. Il risultato è stato simile: le risposte sull’oggetto nella scatola erano meno pronte e meno accurate quando l’individuo varcava la soglia di una porta.
UN «PROBLEMA» DI PERCEZIONE – A questo punto gli scienziati non hanno potuto che porsi una domanda: è l’attraversamento di una porta a far dimenticare le cose oppure è più semplice ricordare se si rimane nella stessa stanza dove l’informazione originaria è stata recepita e interiorizzata? Secondo gli psicologi si tratterebbe di un meccanismo mentale che permette di «mantenere in memoria» un’informazione fino a quando la nostra percezione la considera utile al contesto: attraversando una porta e cambiando scenario, quindi, il contesto cambierebbe quel tanto da far percepire al nostro cervello di essere in un nuovo scenario, cancellando quindi la precedente informazione per far spazio a quelle nuove. A far scattare questo meccanismo, comunque, non sarebbero soltanto le porte: basterebbe infatti il campanello che suona, la batteria del computer che si scarica o qualsiasi altro evento che «rompe lo schema» e obbliga la nostra mente a concentrarci rapidamente su qualcos’altro, dimenticando ciò che si stava facendo soltanto un secondo prima.
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COME FUNZIONA IL NOSTRO CERVELLO – Perché questo succede? Charles Brenner di Salon lo spiega in modo semplice ed efficace: non possiamo tenere tutte le informazioni a portata di mano perché il nostro cervello altrimenti sarebbe sommerso da troppi dati. La nostra mente, lavora raccogliendo informazioni dall’ambiente e cancellandole quando ritiene non servano più. Soltanto quando, per errore, cancella l’informazione sbagliata, ci rendiamo conto dell’esistenza di questo complesso e meraviglioso meccanismo mentale.
(Photocredit: Getty Images)
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