Halal o non Halal? I dubbi del mondo islamico sulle criptovalute
09/04/2018 di Matteo Garavoglia
Mentre il mercato delle criptovalute continua a espandersi a fasi alterne, l’Islam si pone seri dubbi sul suo rispetto dei precetti della religione musulmana.
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La legge islamica pone infatti l’accento sugli scambi materiali all’interno della finanza, preferendo valute “reali” sui processi di blockchain. La confusione è tanta e interessa soprattutto i Paesi del Golfo e l’area del Sud-Est asiatico.
Nonostante solo il 20-30% degli istituti bancari garantiscano alla lettera i dettami previsti dalla Sharia, molti istituti religiosi possono giocare una notevole influenza nel concedere finanziamenti e patrocini.
Ed è così allora che le aziende operanti nel settore delle criptovalute stanno cercando di vedersi riconosciute come “legittime”. Da Dubai alla Malesia, sono già diversi i casi registrati.
“Una delle più grandi difficoltà è che c’è così tanto da parlare, e così poca certezza sul ruolo che avrà in futuro la criptovaluta“, ha dichiarato Ziyaad Mahomed dell’Istituto HSBC Amanah in Malesia.
Uno dei punti cruciali da risolvere è la natura speculativa di queste monete. Le compagnie stanno cercando di influenzare il dibattito operando attraverso strumenti basati su beni fisici e certificati ritenuti validi dai consulenti islamici.
A Dubai, per esempio, ogni unità di criptovaluta dell’azienda OneGram è supportata da almeno un grammo di oro fisico.
“L’oro è stato tra le prime forme di denaro nelle società islamiche, quindi è appropriato” – ha commentato Ibrahim Mohammed, l’imprenditore britannico che ha fondato l’istituto nel 2017 – stiamo cercando di dimostrare che le regole e i regolamenti della Sharia sono pienamente compatibili con la tecnologia digitale blockchain“.
(Foto credits: Ansa/Zumapress)