Il Garante della Privacy ha dato la svolta decisiva al controllo dell’identità di chi esibisce il green pass
E nella circolare del Viminale, anche il ministero dell'Interno fa un passo indietro, anche se il chiarimento è soltanto parziale
11/08/2021 di Gianmichele Laino
Documenti sì, documenti no. Alla fine, almeno questo dilemma è stato risolto. Posso andare a mangiare in un ristorante con il green pass di un amico? Ovviamente, la risposta è no perché altrimenti la misura non avrebbe alcun senso. Ma questa verifica è possibile soltanto se l’esercente del locale o del servizio a cui si accede ha la possibilità di verificare eventuali scambi di identità. Per questo, sembrava scontato, i gestori dei locali avevano la possibilità non soltanto di utilizzare l’app VerificaC19 ma anche di controllare i documenti degli avventori. Una questione su cui le parole del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva espresso però perplessità, affermando che i gestori dei locali non sarebbero diventati all’improvviso i controllori della legge. Apriti cielo! Alla fine, l’intervento del Garante della Privacy su documenti e green pass, fortunatamente, ha dipanato tutti i dubbi.
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Documenti e green pass, l’intervento del Garante
In risposta alla regione Piemonte, infatti, il Garante della Privacy ha confermato:
«La disciplina procedurale (oggi riconducibile al Dpcm 17 giugno 2021) comprende, del resto – oltre la regolamentazione degli specifici canali digitali funzionali alla lettura della certificazione verde – anche gli obblighi di verifica dell’identità del titolare della stessa, con le modalità e alle condizioni di cui all’art. 13, c.4, del citato Dpcm. Tra le garanzie previste da tale decreto è, del resto, compresa anche l’esclusione della raccolta, da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell’intestatario della certificazione, in qualunque forma».
La circolare del Viminale e la zona d’ombra
Questa conferma, dunque, è stata recepita anche dalla circolare del ministero dell’Interno che ha confermato la possibilità che gli esercenti possano effettivamente verificare l’identità dei propri clienti, soprattutto in presenza di rilevanti dubbi circa l’età o l’identità stessa delle persone che presentino il green pass. Nel caso in cui, ad esempio, sull’app VerificaC19 dovesse essere mostrato il nome e l’età di una giovane donna e l’esercente si dovesse trovare di fronte un uomo anziano, ecco che il controllo sarebbe più che giustificato.
Resta una zona d’ombra non coperta dalla circolare del Viminale, ovvero quella della non palese differenza d’età o d’identità. Ma anche da questo punto di vista, la risposta del Garante dovrebbe essere indicativa. Anche perché, lo si ribadisce, il riferimento è a un dpcm che – in quanto a gerarchia delle fonti – ha sicuramente più peso rispetto a una circolare ministeriale.
foto IPP/Paolo Lazzeroni Siena