Anche in Italia si inizia a parlare seriamente di “diritto alla disconnessione”
Una proposta di legge è stata annunciata e depositata, prima di avviare l'iter al Senato. I principi sono molto differenti rispetto alla labile normativa vigente
15/10/2024 di Enzo Boldi
Un tema emerso durante la pandemia e che non i è mai concretizzato, in modo approfondito, nel tessuto normativo italiano. Ora, grazie a una proposta depositata in Parlamento dal Partito Democratico, anche in Italia è stato avviato un serio dibattito sul “diritto alla disconnessione” dei lavoratori. In Australia è stata da poco approvata ed emanata una legge su questo argomento, mettendo in chiaro i rischi legati all’iperconnettività digitale provocata proprio dal lavoro. La pdl – presentata nel mese di luglio – è stata assegnata alla Commissione Lavoro, in attesa che sia calendarizzato l’inizio dell’iter di discussione che inizierà dal Senato.
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L’iniziativa parlamentare segue un lungo percorso avviato dall’associazione giovanile “L’Associata” che da tempo ha dato vita al progetto chiamato “Lavoro poi stacco“. Un nome che racchiude il senso di questa proposta: avere dei limiti di legge per evitare che i lavoratori siano tartassati di richieste (dalle mail ai messaggi su Whatsapp, solo per fare alcuni esempi) anche fuori dal loro orario di lavoro. Una tutela della salute mentale per circoscrivere il tempo dedicato al proprio lavoro e riprendere in mano il tempo libero. Senza intromissioni lavorative esterne.
Diritto alla disconnessione, presentata una proposta di legge
Ma qual è l’obiettivo al centro della proposta di legge firmata da molti parlamentari del Partito Democratico? Innanzitutto, cerchiamo di capire cos’è il “diritto alla disconnessione”. Possiamo definirlo come il diritto di un lavoratore di “staccare la spina” dal lavoro al di fuori dell’orario di lavoro (previsto dal proprio contratto). Questo, dunque, comporta che il lavoratore può non rispondere alle e-mail ricevute al di fuori del proprio turno, ma anche alle telefonate e ai messaggi che arrivano durante il proprio tempo libero, senza rischiare di incorrere in conseguenze negative. Dunque, parliamo di quella “reperibilità” nascosta messa a rischio dagli strumenti di comunicazione. Ovviamente, questo discorso non può valere per tutte quelle professioni/contratti che prevedono la “reperibilità” in determinate fasce orarie, anche al di fuori del proprio turno. Nella stessa presentazione delle proposta, infatti, si legge:
«Trovare un giusto equilibrio tra le nuove opportunità offerte dall’innovazione tecnologica e il rispetto della sfera privata del lavoratore, in riferimento al controllo del proprio tempo libero, prevenendo così i rischi di stress e disturbi legati al lavoro, quali il tecnostress, ovvero lo stress derivato da un utilizzo lavorativo incorretto delle nuove tecnologie, che porta a sovraccaricare i flussi di informazione generando ansia, insonnia e mal di testa, o la sindrome da burnout, ovvero un grave logorio psichico ed emotivo derivato dallo stress lavorativo che può sfociare in disturbi dissociativi, aggressività e svariate problematiche fisiche, nonché l’abbassamento della produttività».
Nel monografico di oggi, andremo a scoprire il contenuto del testo che sarà discusso (inizialmente) in Senato, andando a trovare anche le differenze con la normativa già vigente nel nostro Paese, fino ad arrivare agli esempi che arrivano da altri Paesi,