Il governo vuole allargare le maglie della tassa sui servizi digitali
Si sta studiando la misura della digital service tax, per poterla prevedere nella manovra 2025. Ma secondo gli esperti, questa misura andrà a impattare sulle piccole e medie imprese e non favorirà lo sviluppo del Paese
22/10/2024 di Gianmichele Laino
Tempo di manovra, tempo di ridefinizione delle tasse. Per quanto riguarda il 2025, il governo sta pensando di allargare il campo di applicazione della digital service tax, ovvero quell’imposta che – un tempo – si applicava a tutte quelle imprese di servizi digitali, stabilendo il quantitativo del 3% di aliquota rispetto al fatturato. Tuttavia, la vecchia web tax prevedeva anche un requisito per l’applicazione di questo 3%, ovvero che l’azienda tassata avesse un fatturato da almeno 750 milioni di euro: l’intenzione, secondo quanto rilevato dagli osservatori del settore, sarebbe quella di rimuovere il tetto dei 750 milioni di euro e di estendere la digital service tax a tutti gli operatori che – effettivamente – offrono servizi digitali.
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Digital service tax, perché l’estensione non è una buona notizia per le imprese che si occupano di digitale
Rimuovere il limite dei 750 milioni di fatturato significa estendere la digital service tax anche alle aziende più piccole, magari alle start-up, in ogni caso a chi – in Italia – si occupa di digitale, un settore che dovrebbe essere tutelato perché strategico, soprattutto in un momento in cui – sia dal punto di vista della cultura generalista, sia dal punto di vista delle istituzioni – manca l’educazione digitale. Per far comprendere quanto una digital service tax riformulata possa impattare sulle piccole e medie imprese, basta riportare le parole di Roberto Liscia, presidente di Netcomm: «Tassare in modo aggressivo il settore digitale non favorirà la crescita economica del Paese. Il rischio di doppie imposizioni e la conseguente fuga di imprese all’estero rappresentano motivi di preoccupazione. È cruciale che i policy maker comprendano che, aumentando il gettito fiscale, si sta anche soffocando un settore che potrebbe contribuire in modo significativo alla ripresa economica del Paese. L’Italia deve adottare una strategia che favorisca la digitalizzazione, piuttosto che penalizzarla».
Il 3% di fatturato, per le imprese di Big Tech per le quali la web tax era stata inizialmente pensata, non rappresenta un grande sforzo. Lo è, invece, per tutte quelle aziende e start-up che, sempre di più, stanno cercando di contribuire alla digitalizzazione del Paese. E che – per questo obiettivo – rischiano addirittura di pagare dazio.