La difesa di Google nel processo della famiglia Gonzalez che riguarda la raccomandazione del contenuto

Come il colosso di Mountain View ha scelto di difendersi per cercare di evitare una condanna che potrebbe stravolgere completamente il modo in cui internet crea connessioni

18/01/2023 di Redazione Giornalettismo

Il solito parafulmine di Google. O – meglio – quello di ciascuna piattaforma Big Tech che opera nell’attuale ecosistema mediatico digitale. Quello, cioè, di negare il proprio ruolo di editore, sulla base di una vecchia normativa – la sezione 230 del Communications Decency Act – che allontana le piattaforme da questa definizione. Sembra abbastanza paradossale, ma questo passaggio normativo ha più volte consentito a grandi social network o motori di ricerca di allontanare problematiche legali anche piuttosto serie. Eppure, continuamente, assistiamo al lancio e allo sviluppo di servizi (come Google News, come gli Instant Articles) che avvicinano le piattaforme a prodotti editoriali. Il Communications Decency Act – come abbiamo già visto – è la base giuridica su cui poggia la difesa di Google nel processo contro la famiglia di Nohemi Gonzalez, una delle giovani vittime dell’attentato terroristico di Parigi nel 2015. Secondo i familiari della vittima, il motore di ricerca, di cui YouTube è un prodotto, avrebbe contribuito alla radicalizzazione dei responsabili dell’attentato, attraverso il sistema della raccomandazione dei contenuti: quello cioè che fa scegliere a un algoritmo i contenuti da proporre agli utenti (sulla base dei loro interessi e sulla base della loro precedente esperienza sulla piattaforma) per tenerli ancorati il più possibile alla piattaforma stessa. Alla vigilia della sentenza della Corte Suprema, prevista ormai per il mese di febbraio, Google ha ritenuto opportuno fare un’uscita pubblica per esporre, anche in maniera piuttosto divulgativa e fuori dal legalese, le sue ragioni.

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La difesa di Google nel processo contro la famiglia Gonzalez

«La questione dinanzi alla Corte è se la Sezione 230 debba continuare a proteggere l’organizzazione, la visualizzazione e la raccomandazione di contenuti da parte di terze parti – ha detto Halimah DeLaine Prado che è la general counsel per gli affari legali di Google -. La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Una decisione che indebolisca la Sezione 230 costringerebbe i siti web a rimuovere materiale potenzialmente controverso o a chiudere gli occhi su contenuti discutibili per evitare di venirne a conoscenza. Ci ritroveremmo con una scelta forzata tra siti mainstream eccessivamente curati o siti marginali inondati di contenuti discutibili». È questo il punto di partenza che Google ha evidenziato all’interno del suo blog ufficiale, che dà notizie sugli ultimi prodotti e sulle ultime novità relative al motore di ricerca.

Google difende a spada tratta la raccomandazione dei contenuti, come elemento fondativo di internet stesso. Senza – ricorda Mountain View – non sarebbe possibile fornire un servizio essenziale per gli utenti come «mostrare i migliori annunci di lavoro, elencare i prodotti più pertinenti o visualizzare i video di ricette e canzoni o i servizi di news e di intrattenimento più autorevoli». Insomma, secondo Google, la raccomandazione dei contenuti (che ha sempre rappresentato uno strumento fondamentale per superare la concorrenza degli editori o dei produttori indipendenti tradizionali) rappresenta un indiscutibile vantaggio nella sua fruizione. Additare questo aspetto e indicarlo come la causa della radicalizzazione dell’Isis che ha portato agli attentati di Parigi del novembre 2015, insomma, sarebbe mettere in discussione un indubbio vantaggio del funzionamento di internet.

Secondo Google, inoltre, una sentenza a suo sfavore della Corte Suprema sarebbe un vulnus rilevante per quanto riguarda la libertà d’espressione e l’architrave economico di tutto il business delle piattaforme online perché «porterebbe all’impossibilità, per aziende e siti web, di operare e comporterebbe più azioni legali che danneggerebbero editori, creators e piccole imprese». Nel pronunciare queste parole, Google fa riferimento a tutta la platea di accademici che si sono schierati, nel corso degli anni, in difesa della sezione 230 del Communications Decency Act. Un messaggio che non sembra rivolto soltanto agli utenti, ma soprattutto ai giudici che, nelle prossime settimane, saranno chiamati a pronunciarsi sulla vicenda. Avendo l’opportunità di cambiare per sempre il mondo di internet.

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