Il processo per l’omicidio di Desirée Mariottini a porte chiuse, la madre: «Con cure obbligatorie sarebbe viva»
16/01/2020 di Gaia Mellone
Ha preso il via il processo per l’omicidio di Desirée Mariottini, la 16enne ritrovata morta in uno stabile abbandonato nel quartiere romano di San Lorenzo. Durante l’udienza di incardinamento tenutasi mercoledì 15 gennaio è stato deciso che il processo avverrà a porte chiuse.
Il processo per l’omicidio di Desirée Mariottini si svolgerà a porte chiuse
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Niente telecamere o pubblico: poco dopo le ore 13 di mercoledì 14 gennaio nell’aula bunker di Rebibbia il giudice ha letto la sentenza che stabilisce che il processo per la morte della 16enne Desirée Mariottini, avvenuta il 19 ottobre 2018 in Via dei Lucani, si svolgerà a porte chiuse. Gli imputati per il suo omicidio sono Yusif Salia, Mamaodu Gara, Brian Minteh e Chima Alinno, accusati di omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori.. La prossima udienza è stata fissata per venerdì 17 gennaio e si aprirà con la deposizione del primo teste presentato dalla procura, ovvero il dirigente del commissariato di San Lorenzo.
La madre a Porta a Porta: «Con cure obbligatorie sarebbe viva»
La madre di Desirée ospite alla trasmissione Porta a Porta ha raccontato che aveva presentato delle denunce alla polizia in cui affermava di non riuscire più «a gestire mia figlia, per permettere a un giudice di intervenire. Il giudice ha scritto ai servizi sociali quando era troppo tardi». L’intervento dei servizi sociali infatti secondo la madre di Desirée è stato tardivo: «Non riesco a capire come questi servizi non abbiano potuto fare niente» ha infatti affermato ospite di Bruno Vespa, aggiungendo che «nel 2017 mi sono accorta che qualcosa non andava, aveva disturbi nel sonno. Credo che facesse uso di hashish. Ho attivato subito i servizi sociali, la sua psicologa ma questo non è servito. Da luglio 2018 mi sono allarmata tantissimo».
«Non ho mai visto mia figlia drogata -ha continuato a raccontare durante la trasmissione-. Una volta però ho trovato nel suo zaino una carta argentata, le analisi hanno accertato che c’erano tracce di eroina. Quando ho scoperto della carta argentata ne ho parlato con lei. Lei mi ha detto che all’inizio le avevano offerto una cosa che derivava da un fiore ma che lei non sapeva cosa fosse». La donna ha quindi portato la figlia al Sert dove però «mi hanno detto che se non era volontaria non poteva essere mandata in comunità».
(Credits immagine di copertina: Facebook)