Daniela Martani e la gogna sul web. «Io minacciata e insultata. Facebook non fa nulla»
23/01/2018 di Redazione
«Quando la stanno per sbloccare farò in modo di farle avere un nuovo blocco di trenta giorni». Lo scrive un utente Facebook contro Daniela Martani, opinionista e nota attivista vegana. Martani ha il profilo pubblico bloccato per 30 giorni. La sua colpa? Aver lanciato l’argomento di una delle puntate in cui partecipa come opinionista su Radio Kiss Kiss. Facebook lo ha interpretato come un insulto contro gli italiani anche se il post, di fatto, sollevava un problema che è presente nel nostro paese. Nessun insulto, ma niente da fare. Lo status, segnalato di massa, ha portato al blocco del profilo dell’attivista. Il secondo blocco nel giro di pochi mesi. Fatto da chi pubblica in continuazione i suoi status, insultandola, in diversi gruppi anti vegani.
Perché sui social, grazie all’algoritmo, prevale il branco piuttosto che una interpretazione logica delle parole postate. E Daniela lo sa bene. Ogni suo tweet, status, viene continuamente spammato in diversi gruppi. Gruppi in cui può partire l’ordine alla segnalazione di massa e la pubblicazione di dati sensibili. Tutto è iniziato un anno e mezzo fa. Quando Daniela ha denunciato centinaia di suoi haters. Da quel momento in poi, ovvero a denunce depositate, è iniziato l’incubo. I profili della Martani sono stati ripetutamente pubblicati su varie pagine. «Puoi latrare tutte le str**** che vuoi», aggiungono con screenshot sugli status dell’attivista. Fallita, ricattatrice, i “complimenti” si sprecano. Anche le minacce, come quelle che riportiamo qui sotto. «Hanno pubblicato il mio indirizzo di casa», spiega Martani contattata da Giornalettismo.
«Io non sono più serena, spesso stacco tardi per lavoro. Vivo nell’ansia quotidiana», racconta spiegando come più volte abbia segnalato i profili anonimi alla piattaforma. Ma nulla da fare. Secondo Facebook i profili non violano le regole della comunità. Anche se i loro nomi non figurano nelle anagrafi e le loro foto profilo sono palesemente fake.
Martani ci spiega come il profilo pubblico le sia molto utile. «Scrivo anche per una testata on line – racconta – arrivano perfino a fare recensioni negative nei posti in cui lavoro». L’opinionista coltiva anche la passione per la musica e spesso suona in alcune serate come dj. «Una volta hanno commentato negativamente un locale che mi ha ospitata. Da quel momento quel locale non mi ha più richiamata». Quello che sembra sempre più una forma di stalking vero e proprio rischia di ripercuotersi non solo sulla vita privata ma anche lavorativa. «Si dovrebbero cambiare le regole. Ci vorrebbe una carta d’identità da presentare al momento dell’iscrizione sulla piattaforma social. Io sono forte – racconta Daniela – ma a una persona più debole cosa potrebbe succedere?».
Martani ha provato a segnalare al social di Mark Zuckerberg come il suo blocco sia ingiusto. «Facebook – aggiunge – non risponde mai alle segnalazioni nonostante loro dicano di segnalare se c’è stato un errore nei blocchi. Io gli ho inviato decine e decine di mail in cui chiedo che venga ripristinato il mio account ma nulla. Non esiste un referente italiano con cui interfacciarsi».
Diversi profili che perseguitano la Martani sono stati segnalati alla polizia postale. E uno di loro, non contento, afferma di avere una “talpa” nella Polizia postale. Spacciandosi, nel suo delirio, per uno di Anonymous.
In Italia ci sono diverse difficoltà collegare persone fisiche con account fake. Se la Polizia postale non riesce a raccogliere elementi utili serve una rogatoria internazionale per imporre alla società estera che gestisce il social network di esibire i cosiddetti file di “log”. La legislazione italiana è molto carente sotto questo aspetto, cioè nell’imporre a Facebook di rilasciare i dati delle persone che commettono reati sul web. Questo è un deficit da non sottovalutare perché così gli haters continueranno a perpetrare il cyberbullismo. Daniela Martani è comunque riuscita a raggiungere alcuni dei profili che la tormentavano.
E se gli ostacoli tecnici non sono pochi la Cassazione però va avanti. Un esempio è la sentenza n. 50/17 della sez. I Penale che ribadisce come la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen.. Questo perché c’è l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità e il messaggio può raggiungere una vasta platea aggravando così le lesioni.
«Queste persone continuano con queste attività – spiega Martani – da anni. Segnalano profili e pagine vegan molto seguite. Hanno fatto chiudere due pagine pro vegan una da 17 mila utenti, l’altra da 30 mila. Ridicolizzano le persone nelle loro pagine e nei loro gruppi semplicemente per differenti scelte etiche. Facebook non è in grado di gestire questo fenomeno, per questo ho deciso di fare causa alla piattaforma social».