Da dove arrivano i dati con cui Flood Hub prevede le inondazioni

Per consentire agli algoritmi basati sull'intelligenza artificiale (e alle tecniche di machine learning) di prevedere inondazioni, occorre una vasta quantità di informazioni in tempo reale

25/05/2023 di Enzo Boldi

È arrivato anche in Italia, anche se la sua copertura è limitata. Anzi, limitatissima. In attesa che i sistemi di monitoraggio di Google Flood Hub siano implementati nel nostro Paese, questo strumento basato sull’intelligenza artificiale può rappresentare un grande aiuto in termini di previsioni di alluvioni, come quella recente in Emilia-Romagna e simili a quelle che spesso ci siamo trovati ad affrontare negli ultimi anno (ma anche in passato, seppur più di rado). Ma come funziona tecnicamente questa piattaforma? E, soprattutto, da dove arrivano i dati per effettuare il monitoraggio e una previsione su quel che potrebbe accadere?

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I modelli previsionali di Flood Hub si fondano sui dati meteorologici: da quelli raccolti dall’ECMWF (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine), passando per il CPC (Climate Prediction Center) e alle misurazioni dei suoi pluviometri, fino ad arrivare ai satelliti con la segnalazione delle precipitazioni che arrivano dall’IMERG e dai satelliti dell’ESA. Tutti questi dati vengono poi combinati attraverso gli algoritmi di Google che restituisce su una mappa la geolocalizzazione della prevista inondazione.

Flood Hub, da dove arrivano i dati per il monitoraggio

Queste, dunque, sono le fonti primarie. A tutto ciò si aggiunge il monitoraggio costante di alcuni bacini fluviali. Attualmente, in Italia sono pochissimi i luoghi in cui avviene questo controllo (11 in totale, uno sulla Dora Baltea, uno sul Tanaro, sette sul Po, uno sul Lambro e l’ultimo sul fiume Sele in Campania) ma in futuro il sistema sverrà implementato in altre zone a rischio. Ma come funziona il processo per il monitoraggio previsionale? Tutti si snoda lungo tre punti:

  1. La raccolta di una vasta gamma di dati – che provengono, come spiegato prima, da fonti diversificate – relativi a informazioni meteorologiche, modelli idrologici, dati satellitari e le osservazioni sul campo.
  2. L’elaborazione di quei dati raccolti, che poi vengono elaborati usando algoritmi basati sull’intelligenza artificiale e processati attraverso tecniche di machine learning per individuare le zone potenzialmente a rischio a seguito di un evento atmosferico di rilievo.
  3. Da queste analisi dei dati, si arriva alle previsioni di inondazione che si strutturano secondo diversi modelli: dalle aree a rischio, passando per il livello di allerta basato sull’entità della prevista inondazione. Ovviamente, tutto ciò può avvenire solo attraverso un aggiornamento costante e continui delle informazioni raccolte.

Dopodiché, ecco arrivare il punto fondamentale per la chiusura del cerchio: la comunicazione. Tutte le informazioni e le previsioni su potenziali inondazioni devono essere condivise con le istituzioni locali e con i soccorsi. Solo così si può procedere, con anticipo, a operazioni di sgombero per salvare vite umane.

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