Il crollo del palazzo al Flaminio: il vero motivo non è quello che pensavamo
06/06/2016 di Redazione
CROLLO PALAZZO FLAMINIO
Il palazzo al civico 70 di Lungotevere Flaminio, vicinissimo al Teatro Olimpico, è una ferita aperta negli occhi dei romani: a terra macerie da aggirare, in alto due piani sventrati dal crollo del 23 gennaio scorso. E chissà quanto ancora lo skyline di fronte allo Stadio Olimpico dovrà sopportare quella vista dolorosa.
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Il colpo di scena, però, a poco meno di cinque mesi dall’evento, è nella perizia che scagiona il “giardino-foresta” dell’attico del palazzo. La sua proprietaria era stata demonizzata per quella “giungla” che aveva in terrazzo, ripresa chiaramente anche da Google Street View e che le era valsa un esposto dell’amministratore a cui le forze dell’ordine avevano risposto ordinando una perizia statica dei vasi. Lei rispose che li aveva tolti, così non era.
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Secondo la perizia dei consulenti nominati dalla procura, però, la colpa non sarebbe sua. Gli esperti, gli ingegneri Chiara De Angelis e Lucrezia Le Rose, che hanno depositato la loro relazione sul collasso, come riporta la cronaca di Roma del Corriere della Sera, le responsabilità del crollo sarebbero da addebitare alla ristrutturazione in quel momento in atto al quinto piano, su cui peraltro, a catastrofe appena avvenuta, si erano concentrati anche i condomini e l’amministratore Vincenzo Marcialis.
Parlano di un edificio “stressato”, un fabbricato di circa 80 anni (tirato su nel 1928, finito nel 1939) che ha sopportato molte offese. Il procuratore aggiunto Roberto Chcchiari e il pm Antonella Nespola ora iscriveranno nel registro degli indagati, con l’accusa di disastro colposo, i tecnici della ditta (il loro era uno dei tre cantieri aperti nel palazzo in quel momento) che si occuparono dei lavori per la creazione di un open space nella zona pranzo e salone dopo sarebbero stati tolti tramezzi che collaboravano con i muri portanti senza sostituirli con puntelli adeguati. La casa era stata comprata dal petroliere Giuseppe Rigo De Righi per 1,1 milioni di euro poco più di un mese prima, a dicembre, e i lavori, secondo le testimonianze, procedevano a ritmi serrati, anche negli orari non ammessi dai regolamenti condominiali. Tanto che l’assemblea condominiale aveva messo all’ordine del giorno la discussione sugli stessi, ma si doveva ancora tenere.
La perizia inoltre scagiona l’architetto Lidia Soprani, la cui giungla era finita al centro delle polemiche, escludendo che gli enormi vasi pieni di terra ammassati sul suo giardino pensile al sesto piano abbiano inciso sul cedimento del soffitto, potendo quella metratura e quella struttura sopportare anche un peso maggiore di quello presente, se però i tramezzi suddetti fossero rimasti al loro posto. Su di loro si scaricava l’energia dei piani superiori: quelle operazioni di modifica potevano sì essere fatti, ma solo dopo un attento studio analitico dell’intera struttura (penalizzata da vari interventi scadenti nei decenni, per qualità dei lavori e dei materiali, oltre all’imprudente aggiunta di due piani nel dopoguerra), mentre architetti e operai del petroliere avrebbero rimosso il tutto senza un’adeguata ricognizione.
Alla fine della perizia, un elogio alla “freddezza del vigile del fuoco” che ebbe l’intuizione, la notte stessa, di scattare un mini-reportage di 15 foto al momento del collasso, in cui si vede l’intonaco sgretolarsi e le colonne deformarsi sotto il peso del soffitto.
Photocredit by GettyImages – Tiziana Fabi e Google Earth e Google Maps