Per Crisanti oggi abbiamo 15-20 volte meno casi di quanto ce n’erano all’inizio della pandemia

Il docente di microbiologia paragona le situazioni odierne e di inizio marzo

31/08/2020 di Gianmichele Laino

Con la pandemia che non è affatto andata via e che, anzi, si sta ripresentando almeno a livello quantitativo su numeri che non vedevamo da un paio di mesi, Andrea Crisanti – il professore di Microbiologia all’università di Padova – è intervenuto sul Corriere della Sera con una disamina che parte da un punto molto importante e che non dovremmo mai dimenticare. L’analisi sierologica che è stata fatta in Italia e che non ha avuto mai il giusto peso.

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Crisanti dice che i casi di oggi sono 15-20 volte in meno di quelli di marzo

Stando a quei dati, infatti, in Italia i casi sarebbero stati circa un milione e 482mila a fronte di un dato ufficiale – quello che prima veniva diramato dalla Protezione Civile e che oggi viene invece diffuso dal ministero della Salute – di 265mila unità. Dunque, c’è stato un momento in cui abbiamo perso il contatto con la diffusione della pandemia.

Per questo motivo, paragonare in termini assoluti i dati di oggi (ieri poco meno di 1400 nuove positività registrate nelle ultime 24 ore) e quelli di inizio marzo non sembra essere un esercizio utile. Secondo Andrea Crisanti, infatti, i dati di oggi sarebbero 15-20 volte inferiori rispetto a quelli di inizio marzo, anche se i numeri ufficiali mettono i mesi iniziali della pandemia e queste ultime settimane sullo stesso piano numerico.

L’indagine epidemiologica, secondo Crisanti, è stata sottovalutata

Per Crisanti, infatti, il numero reale plausibile di casi giornalieri nel periodo di inizio marzo-fine aprile è stato quello di circa 26mila casi al giorno, un numero molto distante rispetto ai 1300 casi di media delle ultime due settimane. Una riprova di questo aspetto? Il numero dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva: i dati di oggi e quelli di ieri, da questo punto di vista, sono difficilmente attaccabili. E notiamo una grande sproporzione (ieri si sono registrati 4 decessi): ecco però che moltiplicando per 15-20 i casi di oggi (sia per quanto riguarda i morti, sia per quanto riguarda le terapie intensive) ci avviciniamo a quelli registrati a marzo.

Quando si deve valutare la diffusione dell’epidemia in Italia, dunque, è sempre opportuno prendere come riferimento l’analisi epidemiologica e non i numeri assoluti diffusi dai bollettini ufficiali. Capiremmo, a quel punto, che stiamo vivendo su due pianeti diversi. Ma la guardia non può essere abbassata in ogni caso.

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