La politica deve decidere, la scienza deve avvertire: «Il Covid-19 non presenta mutazioni significative»
13/05/2020 di Ilaria Roncone
Da un lato abbiamo l’incertezza della scienza – che deve prendersi tempo per fare valutazioni certe, basate sull’andamento dei dati – dall’altro la necessità di decisioni politiche. Le due cose, come evidente, vanno in collisione. A pochi giorni da quella che dovrebbe essere la data che segnerà un ritorno alla vita più simile a come la conoscevamo, il 18 maggio, arrivano gli avvertimenti della comunità scientifica sul coronavirus. Dopo una riunione attorno a un tavolo virtuale gli scienziati hanno messo nero su bianco quelli che sono i rischi in questa fase 2 se abbassiamo la guardia. Dalla diagnostica al tracciamento, passando per la medicina sul territorio e per una possibile seconda ondata, la comunità scientifica italiana ha detto la sua su quello che potrebbe succedere.
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Il vaccino non arriverà prima di 12-18 mesi e servono più soldi per la ricerca
«Siamo molto indietro nella diagnostica e nel tracciamento»: queste le parole di Ricciardi, consigliere del ministero della Sanità in questo periodo di emergenza. E in Italia, sottolinea Giuseppe Ippolito – direttore scientifico dello Spallanzani -, «le sequenze genetiche del virus depositate sono pochissime, nemmeno 20, in Olanda ne hanno 1.000». Lamentano gli scarsi investimenti nella sanità fatti nel nostro paese, i ricercatori, con Massimo Scaccabarozzi che ribadisce: «la salute non è un costo ma un investimento». Anche Alberto Mantovani, immunologo direttore scientifico di Humanitas, fa presente come «per fare ricerca ci si è dovuti basare su donazioni private». Il vaccino, afferma Rino Rappuoli di GSK Vaccines, non sarà disponibile prima di 12-18 mesi. Il che ci espone al rischio di un’ondata di ritorno il prossimo autunno.
Le sfide della «malattia delle città» secondo Ilaria Capua
Presente al tavolo anche Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence all’Università della Florida. L’esperta ha definito il coronavirus «uno stress-test per l’economia, il sistema sanitario, le coppie. Toccherà religione, sport, intrattenimento e farà emergere i sistemi fragili, come quello degli agglomerati urbani». Non esita a definirla la «malattia delle città», con il concreto pericolo che sia gli animali da allevamento che quelli domestici possano essere infettati e diventino serbatoi potenziali di contagio.
Il concreto rischio di una seconda ondata in autunno
Il rischio c’è ed è concreto. Posto che per il vaccino bisognerà aspettare ancora a lungo, Alberto Mantovani – immunologo direttore scientifico di Humanitas – ha fatto presente che «il Covid-19 non presenta mutazioni significative». Almeno per ora. Bisogna prestare estrema attenzione a una «percezione errata», che «rischia di far abbassare la guardia e incoraggiare comportamenti irresponsabili». Sostiene la tesi anche Ippolito, che precisa come «quel che può succedere è che nella prima fase il virus colpisca i più suscettibili e dopo la prima ondata faccia meno morti. È stato così anche per l’Hiv». E la patente di immunità, in questo senso, non esiste: «al massimo un foglio rosa che dura qualche mese», ha scherzato Mantovani. Ricordando che ancora non è dato sapere con certezza se gli anticorpi rilevati con il test sierologico garantiscano l’immunità. Anche sui presidi ospedalieri e sulla gestione territoriale del Servizio sanitario nazionale sono intervenuti esperti di settore. «La gestione centrata solo sull’ospedale e sulle terapie intensive si è dimostrata insufficiente. Va promosso un intervento il più precoce possibile e il ruolo della Medicina generale è fondamentale per una risposta adeguata, ancor più nella Fase 2. Diagnosi e terapia devono arrivare prima», ha fatto presente Walter Marrocco della Federazione dei Medici di medicina generale.
(Immagine copertina da Pixabay)