La legge australiana sui media e i grandi del web è passata: ma cosa succede ora?

Le modifiche al testo sono significative e potrebbero portare a uno stallo tra gli editori e le grandi piattaforme

25/02/2021 di Gianmichele Laino

Proprio ora che la legge sui media e le grandi piattaforme del web in Australia è stata approvata da entrambi i rami del parlamento (l’ultimo passaggio c’è stato al senato giovedì 25 febbraio), sembrano iniziare i veri problemi per le forze politiche del Paese che hanno spinto per formulare la legge, gli editori che si aspettano da questo provvedimento un toccasana per la loro economia e le grandi piattaforme del web, sempre sornione ad attendere il varco in cui infilarsi sfruttando il loro strapotere. Il codice media Australia approvato – o, per utilizzare la corretta denominazione, il News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code – è stato fortemente revisionato dopo il braccio di ferro tra Facebook e il governo nell’ultima settimana.

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Codice media Australia approvato, e adesso?

Ai blocchi di partenza, la legge prevedeva un equo compenso per gli editori in seguito all’utilizzo dei loro contenuti nei feed di news di Google e Facebook (come Google News o il progetto del social network di lanciare una propria sezione di notizie, già concreto in diverse parti del mondo). Se su questo compenso non ci fosse un accordo, allora interverrebbe un arbitrato esterno a regolare la trattativa. In seguito, il governo australiano ha chiesto anche maggiore trasparenza sugli algoritmi che regolano la distribuzione dei contenuti sulle grandi piattaforme web.

La cosa – com’è noto – ha fatto saltare i nervi a Facebook. Mentre Google cercava di fare accordi preliminari con le grandi concentrazioni editoriali (in modo tale da non restare ingabbiato nelle maglie della legge), il social network di Mark Zuckerberg ha deciso, con un colpo di mano, di sospendere la pubblicazione di notizie da parte di qualsiasi utente in Australia. Una decisione su cui si sono intavolate delle trattative serrate tra lo stesso Zuckerberg e il responsabile del Tesoro australiano Josh Frydenberg. Alla fine, Facebook è tornato indietro.

I punti di domanda sul codice dei media australiano

Ma perché lo ha fatto? Perché la legge è stata modificata. La mossa dei parlamentari australiani somiglia davvero a una gestione d’emergenza, anche perché la modifica non è marginale ma sostanziale. Se resta la soglia per cui i media si possono iscrivere al piano del governo per assicurare loro un equo compenso dalle piattaforme del web (le aziende editoriali devono avere un bilancio da almeno 150mila dollari australiani), allo stesso tempo il legislatore si riserva di «designare» le piattaforme digitali che, in quanto tali, rientrano nel codice. Dunque, Facebook e Google non sono automaticamente individuate come controparti, ma soltanto in un secondo momento potranno esserlo. E, anche se fossero designate come tali, avrebbero un periodo di tempo di 30 giorni – prima dell’applicazione della legge – per regolamentare la propria posizione.

Dunque, si tratta di un vantaggio decisamente importante per le grandi piattaforme del web e – di conseguenza – la leva su cui battere per evitare di raggiungere accordi non soddisfacenti per loro. Dall’altro lato, invece, il governo è convinto di avere in mano il bottone rosso: se Facebook, ad esempio, non dovesse raggiungere accordi indipendenti con gli editori, allora potrebbe diventare «piattaforma designata» e – a quel punto – sottoporsi all’arbitrato. Insomma, nonostante l’approvazione della legge, ci sono ancora dei settori molto ampi di incertezza. Bisognerà capire se questo nuovo codice rappresenterà davvero un’arma importante per l’editoria australiana. O se, invece, non si trasformerà in uno dei simboli nazionali: un boomerang.

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