ChatGPT può essere un’opportunità per il giornalismo. Perché non sfruttarla? L’intervista a Alberto Puliafito

ChatGPT non porterà di certo alla fine del giornalismo e anzi potrebbe essere un valido alleato all'interno della redazione di un giornale. Lo spiega Alberto Puliafito, direttore di Slow News che nelle ultime settimane si è occupato di studiare questo strumento e riflettere sul suo rapporto con il mondo dell'informazione

09/01/2023 di Giordana Battisti

Slow News è una testata online che si ispira ai principi dello slow journalism anche in risposta alla crisi del giornalismo tradizionale, detto anche mainstream. È stata fondata da Alberto Puliafito che ne è tuttora il direttore responsabile. Di recente Puliafito e la redazione di Slow News hanno iniziato a utilizzare ChatGPT al fine di comprenderne al meglio tutte le funzionalità e hanno dedicato a questo argomento alcune riflessioni contenute, per esempio, nell’ultima edizione della newsletter The Slow Journalist e nel talk in cui Puliafito ha dialogato con Massimo Chiriatti, autore del libro Incoscienza artificiale. Come fanno le macchine a prevedere per noi

LEGGI ANCHE > Cos’è e come funziona ChatGPT, la chat bot in grado di fornire delle risposte testuali anche molto complesse

ChatGPT ci porterà a un progresso o alla deriva?

«ChatGPT restituisce degli ottimi risultati se si chiede, per esempio, di riassumere un testo. Bisogna chiarire che lo strumento non capisce cosa sta facendo: la macchina non fa il riassunto sulla base della comprensione del testo, come siamo abituati a pensare, ma fa un’analisi probabilistica del testo che si vuole riassumere e sulla base di questa analisi produce il riassunto del testo», inizia a spiegare Puliafito. L’approccio che Puliafito ritiene migliore e infatti è anche quello che ha utilizzato per sue le ricerche con Slow News è di partire dall’utilizzo dello strumento per comprenderlo e poi andare oltre, provando a capire in quali ambiti può essere applicato e cosa ci si può aspettare.

«In futuro strumenti come questo saranno sempre più all’ordine del giorno. Non solo generatori di testo, ma anche generatori di immagini e di voci». Si tratta di strumenti che rappresentano un punto di svolta importante, che come tutte le tecnologie sono frutto di un percorso evolutivo e che hanno anche delle caratteristiche problematiche. Quello che ha rilevato Puliafito è che ChatGPT, per esempio, era programmata per non rivelare le proprie fonti anche se è possibile aggirare questo limite attraverso dei comandi precisi e che se si chiedono cose che hanno a che fare con le scienze sociali o con l’attualità si nota che le risposte contengono vari pregiudizi, i cosiddetti bias. «Questo dipende dai testi su cui l’intelligenza artificiale è stata addestrata: per esempio, se i testi sono quelli di autori che provengono dal mondo occidentale e industrializzato e sono scritti da un punto di vista di persone benestanti la macchina rifletterà i pregiudizi di queste persone. Anche in questo caso, dando alla macchina i comandi giusti, si riesce ad aggirare o “smascherare” i bias».

Puliafito continua spiegando che quello che spaventa di ChatGPT è il fatto che si è sempre ritenuto che la capacità di creare appartenesse solo all’essere umano e queste macchine, sebbene molti dicano che non creano davvero qualcosa perché appunto non sanno quello che fanno, danno l’illusione di essere in grado di creare e dimostrano di riuscirci bene: «Questo crea dei problemi identitari: se una macchina sa fare bene quello che io le chiedo di fare, allora io chi sono e cosa so fare? Queste macchine minacciano di fare al lavoro intellettuale e culturale quello che è già stato fatto all’agricoltura o alla manifattura. Si può considerare se sia un bene o un male, il punto è che è così».

Ma ChatGPT può essere utile all’interno della redazione di un giornale?

Secondo Puliafito ChatGPT «è un alleato potentissimo nel lavoro ripetitivo». Si tratta di un concetto presente anche nell’ultimo numero della newsletter The Slow Journalist in cui si dedica molto spazio all’argomento: a ChatGPT si può delegare la produzione di testi “facili” e di conseguenza «chi produce contenuti può dedicarsi, finalmente, al lavoro di cura e relazione necessario per distinguersi dai robot. Lo spazio d’azione della produzione di contenuti può sfruttare la rapidità della tecnologia per dedicarsi all’azione sul campo, che non può che essere umana, oggi».

Secondo Puliafito utilizzare ChatGPT all’interno delle redazioni consentirebbe di delegare a questo strumento una parte del lavoro, in particolare i compiti più “meccanici”, e questo potrebbe avere due conseguenze importanti: «Potrebbero tornare in auge competenze come quelle dell’editor, che verifica e corregge gli articoli, e le persone potrebbero dedicare più tempo ed energie alle attività in cui non possono essere sostituiti dalle macchine. Se pensiamo la lavoro giornalistico, tra queste attività c’è soprattutto il lavoro relazionale: una macchina non è in grado di incontrarsi con qualcuno per intervistarlo, almeno per ora».

A fronte di vari rischi che potrebbero sorgere in seguito a un utilizzo scorretto di questo strumento, pensiamo alla facilità di produrre con poco sforzo delle informazioni false, le possibilità da sfruttare a proprio favore restano comunque molte e molto valide. «Le informazioni false si diffondono già abitualmente sui giornali tradizionali. Il rischio è quello di incolpare la tecnologia per cose che non dipendono dall’utilizzo della stessa. Non si tratta di essere ottimisti ma a fronte del rischio vale la pena concentrarsi su quello che potrebbe funzionare molto bene. Parallelamente, il compito del giornalista dovrebbe essere quello di depurare il giornalismo tradizionale da tutto quello che non è giornalismo».

L’obiettivo dovrebbe dunque essere quello di differenziare sempre di più il proprio lavoro da quello delle macchine e concentrarsi sui modi in cui si possono utilizzare al meglio le tecnologie. «È certo che nasceranno nuove competenze» conclude Puliafito.

Share this article
TAGS