Cena Lanzalone-Parnasi-Giorgetti: e il contratto che dice?
15/06/2018 di Gianmichele Laino
Ci sono i contratti e ci sono i menu. I primi sono scritti in favore di telecamere, con tanto di scatti, pose e bottiglie di Coca-Cola in bella vista (chiedere a Matteo Salvini e Luigi Di Maio). I secondi si leggono al riparo da occhi e orecchi indiscreti, rivelati soltanto dai microfoni delle forze dell’ordine che trascrivono tutto nelle loro intercettazioni. La cena Lanzalone-Parnasi-Giorgetti dimostra due cose: innanzitutto che Movimento 5 Stelle e Lega (e la cosa è più evidente per il primo che per il secondo) non sono immuni da incontri al buio all’interno dei quali si decidono le magnifiche sorti e progressive della politica italiana; in secondo luogo, che la questione trasparenza, vero grimaldello dell’esplosione storica dei due partiti, non è più una priorità.
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Cena Lanzalone-Parnasi-Giorgetti: una questione di trasparenza
Gli incontri, le cene, i «forni» – come li chiamerebbe Luigi Di Maio – sono sempre stati parte delle regole del gioco. Gli appuntamenti anche con personaggi che – come dimostrerebbero le carte della procura di Roma sulla questione dello Stadio di Tor di Valle – avrebbero commesso delle irregolarità per avvantaggiarsi personalmente sono espressioni dirette di una politica che appartiene al passato.
Così, tutto quello che è stato sbandierato come nuovo diventa in un batter d’occhio dejà-vu, con buona pace del cambiamento e della Terza Repubblica dei cittadini. La cena Lanzalone-Parnasi-Giorgetti evidenzia che, a prescindere dal coinvolgimento di due dei tre attori all’interno dello scandalo dello Stadio della Roma, due rappresentanti di due forze politiche opposte hanno incontrato un imprenditore per discutere («il governo lo sto a fa’ io») della nascita di un esecutivo, dieci giorni dopo le elezioni. Quando, cioè, l’ipotesi M5S-Lega sembrava solo di scuola.
Cena Lanzalone-Parnasi-Giorgetti, quella beffa del contratto
Eppure, il primo punto del contratto – firmato dagli stessi attori rappresentati in quella cena romana – dice chiaramente: «Vogliamo rafforzare la fiducia nella nostra democrazia e nelle istituzioni dello Stato. Intendiamo incrementare il processo decisionale in Parlamento e la sua cooperazione con il Governo». Ma può esistere fiducia nella democrazia, se la formazione di un nuovo governo – in base alle dichiarazioni di uno dei protagonisti di questa vicenda – viene decisa a tavola, tra un bicchiere di vino rosso e un piatto di amatriciana?
Eppure, il tanto criticato Patto del Nazareno – con quella foto di sfuggita di Silvio Berlusconi nella sede del Partito Democratico – sembra quasi una barzelletta rispetto a queste cene romane, rimaste nell’ombra fino a questo momento ed emerse nelle carte di un’indagine della magistratura. Sui social network, tuttavia, invece di ondate di indignazione per tutto questo, c’è soltanto il rimpallo delle responsabilità, nel nome della sintesi «tutti corrotti, nessuno corrotto». I menu, così come i contratti, non si votano su Rousseau.