Perché il cashback potrebbe non funzionare nella lotta all’evasione fiscale

L'analisi sulla misura che verrà introdotta tra pochi giorni e che proseguirà, in maniera diversa, nel 2021

02/12/2020 di Ilaria Roncone

Con il cashback Natale (preambolo di quello che ci sarà nel 2021) e insieme alla lotteria degli scontrini, si avvia la lotta all’evasione fiscale dello Stato italiano. Lo scopo è quello di spingere sempre più persone ad effettuare pagamenti tracciabili – sia in contanti che con la moneta elettronica – andando a restituire parte di quanto si è speso. Parlando del cashback, in particolare, si tratta di rimborsi per chi sceglie di utilizzare la moneta elettronica: 10% di rimborso per le spese fino a 150 euro – quindi fino a un massimo di 15 euro per ogni operazione – effettuata con strumenti digitali o carte di debito, di credito, prepagate anche in modalità contactless. Il tetto complessivo del rimborso non può superare i 150 euro per questo mese di dicembre. I primi 100 mila cittadini che avranno effettuato il maggior numero di transazioni, inoltre, otterranno un bonus extra che nel 2021 potrà arrivare fino a 3 mila euro.

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Le regole per ottenere il cashback nella lotta all’evasione fiscale

L’iniziativa del governo mira a incentivare quindi i pagamenti digitali e a contrastare l’evasione fiscale. Per ottenere il rimborso direttamente tramite l’accredito sul proprio conto corrente ci sono delle precise condizioni: per quanto riguarda il cashback nel 2021, occorre aver effettuato almeno 50 transizioni a semestre – per la fase sperimentale del cashback Natale ne basteranno solamente 10 – e avere un’identità digitale. La domanda è, a questo punto, quanto e come gli italiani aderiranno e – di conseguenza – se il nuovo meccanismo di cashback basterà.

Ad evadere le tasse non sono solamente gli imprenditori

Ci sono una serie di problematiche appartenenti alla mentalità e al modo di fare italiani che potrebbero rendere il cashback una mossa di scarso successo. In primo luogo ci sono le commissioni di cui gli esercenti devono farsi carico quando il cliente chiede di pagare con la carta, costi che generalmente fanno si che i piccoli venditori scoraggino l’utilizzo della moneta elettronica preferendo il contante. Per abbattere questo muro delle commissioni finanziarie dovrebbe farsi integralmente carico lo Stato. In secondo luogo, in Italia spesso è volentieri dietro gli imprenditori che non versano i tributi a loro carico c’è l’evasione dell’IVA che viene fatta a carico del consumatore finale.

Riuscirà il cashback a far scordare il nero agli italiani?

Stiamo parlando di tutte le volte in cui viene fatto il doppio tariffario (dall’idraulico all’elettricista passando per l’agente immobiliare), ovvero quando c’è il prezzo con IVA – quella percentuale a carico del consumatore finale a seconda del servizio comprato – e senza IVA, che viene magicamente fatta sparire effettuando la transazione senza il rilascio della fattura. Basterà l’idea di quel 10% restituito per abbattere la mentalità tipica degli italiani, quella che li spinge a sfruttare la possibilità di aggirare le tasse e non spendere nell’immediato una cifra più alta del rimborso promesso con un cashback da parte dello Stato? La soluzione migliore, probabilmente, sarebbe che lo Stato si facesse carico dei costi di transazione per gli esercenti così che nessuno possa più rifiutarsi di permettere l’utilizzo della moneta elettronica.

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