«Se entrate sarà un bagno di sangue», così salta lo sfratto di Casapound a Roma

23/10/2018 di Enzo Boldi

Il quartier generale di Casapound all’Esquilino – occupato abusivamente dal 2003 – è a rischio sgombero. Ieri pomeriggio era prevista una perquisizione, decisa da tempo, da parte degli uomini della Guardia di Finanza nei locali della «tartaruga», ma dopo le minacce ricevute dai militari il tutto è saltato. Bisognerà capire se si tratta solo di un rinvio o di un definitivo addio alla possibilità di sfratto dell’ufficio di Casapound a due passi dal Viminale.

«Se entrate sarà un bagno di sangue», così i militanti di Casapound hanno accolto le Fiamme Gialle fuori dallo stabile del civico 8 di via Napoleone III. I locali della palazzina, di proprietà del Demanio, sono stati occupati abusivamente dai neofascisti dal 27 dicembre del 2003 e la Guardia di Finanza, su ordine della Corte dei Conti, aveva il compito di verificare i danni erariali derivati da questa presa coatta dell’ufficio in pieno centro a Roma. E invece – per il momento – nulla è stato fatto. Dopo le minacce iniziali, la stretta di mano tra Davide Di Stefano, fratello di Simone (uno dei leader di Casapound) e alcuni funzionari della Digos hanno sancito un arrivederci alla prossima puntata.

Le minacce di Casapound e il dietrofront delle Fiamme Gialle

Stando a quanto dichiarato dal Simone Di Stefano, nel palazzone di sei piani – con al suo interno 60 locali – vivrebbero alcune famiglie italiane rimaste senza un tetto. I (mancati) controlli di ieri erano volta a ottenere le misure catastali, le misurazioni planimetriche degli spazi comuni e la ricostruzione della storia di questa occupazione. La Corte dei Conti, però, sembra non volersi arrendere alle minacce di ieri pomeriggio all’ingresso del palazzone di via Napoleone III 8 e, nonostante la stretta di mano tra gli uomini in borghese della Digos e i rappresentanti della tartaruga, lo sgombero potrebbe andare avanti.

La smentita da parte di Casapound

Nel pomeriggio è arrivata la smentita di Casapound che ha raccontato la loro versione dei fatti, spiegando che non ci sia stata alcuna perquisizione e nessuna tensione. Così il presidente di CasaPound Italia, Gianluca Iannone: «CasaPound non ha nulla da nascondere. Anzi, è nel nostro interesse che questo controllo avvenga, perché è il modo per dimostrare che il movimento, avendo solo sede legale nel palazzo ed esplicando l’attività politica in senso stretto nelle sezioni sul territorio, non ha recato danni alle casse dello Stato, mentre i locali di via Napoleone III sono utilizzati in via esclusiva per l’emergenza abitativa. Naturalmente, però, non accetteremo mai che questo nostro pur legittimo interesse entri in conflitto con la dignità e i diritti degli italiani che, proprio grazie all’azione di Cpi, hanno trovato casa in uno stabile che era abbandonato da decenni e che prima del nostro ingresso giaceva inutilizzato e nel degrado più assoluto».

La versione della Corte dei Conti

Non «minacce esplicite» ma un «atteggiamento molto duro di chiusura». Così alcune fonti della Corte dei Conti del Lazio  – raccolte da Ansa – descrivono l’atteggiamento avuto ieri dai militanti di Casapound nei confronti degli uomini della Guardia di Finanza. Dopo un atteggiamento «di apertura e di disponibilità», registrato nei giorni scorsi, anche alla luce di «un incontro svolto con le forze dell’ordine per concordare le modalità dell’atto istruttorio», spiegano ancora fonti interne alla Corte dei Conti, ieri si è registrato un drastico cambio da parte degli occupanti, «forse dovuto anche alla presenza di molti giornalisti». In base a quanto si apprende dopo il «no» dei militanti c’è stata anche una sorta di trattativa per cercare di individuare un altro giorno per effettuare l’atto istruttorio ma «non è stato trovato alcun accordo».

(foto di copertina: ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

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