Carola Rackete attacca l’Europa: «Il caso Sea Watch è una vergogna per l’UE»

03/10/2019 di Enzo Boldi

Il suo ingresso alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del Parlamento europeo è stato accolto da un standing ovation degli eurodeputati, ma Carola Rackete non ha fatto conti all’UE ripercorrendo le vicende che hanno accompagnato quello che è stato definito il caso «Sea Watch». La capitana della nave della ong, che alla fine dello scorso mese di luglio forzò il blocco imposto dal governo italiano facendo sbarcare i migranti a bordo da oltre due settimane, ha accusato il silenzio e il disinteresse delle Istituzioni Europee sulle sorti di quegli esseri umani.

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«Ho ottenuto attenzione dalle istituzioni solo dopo il clamore mediatico del caso Sea Watch 3, ma dove eravate quando abbiamo chiesto aiuto? L’unica risposta che ho avuto allora è stata da Tripoli, dove non potevo andare. In Europa, la culla dei diritti, nessun governo voleva 53 migranti – ha dichiarato Carola Rackete nel corso della sua audizione al Libe -. È stata una vergogna. Le istituzioni mi hanno attaccata. Sono stata lasciata sola. I governi hanno eretto muri, come se sulla nave ci fosse la peste».

Carola Rackete ripercorre quei giorni di emergenza in mare

«Decisi di entrare in porto dopo 17 giorni in mare senza ricevere risposta non fu una provocazione come molti hanno detto. Ma un’esigenza – ha sottolineato la capitana della Sea Watch 3 -. Ritenevo che non fosse più sicuro restare in mare e temevo per quanto poteva accadere. Non ho salvato la vita di migranti o rifugiati, ho salvato vite umane. Questo è ciò che la legge del mare mi dice di fare come capitana: portare le persone in pericolo in mare in un porto sicuro, indipendentemente da razza, classe o sesso».

Il sistema dei ricollocamenti

Carola Rackete ha fatto un inciso anche sull’accordo di Malta per la redistribuzione dei migranti in Europa, che non vede come una soluzione fortunata: «Il nostro caso come quello di altre ong sottolinea la necessità di affrontare la situazione dei salvataggi in mare a livello europeo, che non può essere lasciata a negoziati ad hoc. Un meccanismo di ricollocamenti temporaneo, focalizzato sui rimpatri piuttosto che sull’accoglienza non è una soluzione realistica».

(foto di copertina: Mohssen Assanimoghaddam/dpa)

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