Con lo smartworking, molte più aziende ricorrono al “Bossware”
Si tratta di software che monitorano la produttività (anche a distanza) di un lavoratore che, di fatto, viene "spiato"
28/04/2022 di Enzo Boldi
È uno dei tanti non detti lasciati in eredità da questi due anni abbondanti di pandemia, dove anche gli italiani hanno imparato a conoscere – per necessità contingenti – quel fenomeno chiamato “smartworking”. Il lavoro da casa (o telelavoro) è una dinamica molto nota all’estero, ancor prima dei lockdown e di tutti gli annessi e connessi alla diffusione del virus. A questo tema se ne è legato un altro: quello della produttività. Per cercare di monitorare e mantenere standard elevati anche “non in presenza” molte aziende (soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito) hanno fatto ricorso al “bossware”, un software che – di fatto – spia le attività di un dipendente.
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In Italia, per il momento, non si hanno dati per fotografare la portata dell’utilizzo di questi software (ce ne sono in commercio di vari tipi prodotti da numerose aziende). Ma da Oltreoceano arrivano numeri che mostrano come il fenomeno “bossware” sia enormemente cresciuto negli ultimi due anni, con tantissime società che hanno deciso di monitorare così la produttività dei loro lavoratori, anche a distanza. Un sondaggio realizzato da Digital.com nel mese di gennaio, ha infatti immortalato la situazione negli Stati Uniti:
«Il 60% dei datori di lavoro con dipendenti remoti utilizza attualmente un software di monitoraggio, mentre un altro 17% lo sta prendendo in considerazione. Il motivo principale per cui i datori di lavoro richiedono un software di monitoraggio è capire meglio come i dipendenti trascorrono il loro tempo (79%). I datori di lavoro vogliono anche confermare che i dipendenti lavorino un’intera giornata (65%) e assicurarsi che non utilizzino attrezzature di lavoro per uso personale (50%)».
Il sondaggio ha coinvolto 1.250 datori di lavoro che guidano le aziende statunitensi e ha fatto emergere il vasto uso di questi software per controllare a distanza le attività compiute dai propri dipendenti durante le ore di lavoro. E questo ha portato l’88% di queste aziende a licenziare alcuni lavoratori dopo aver monitorato la loro produttività attraverso un “bossware”.
Bossware, i software per monitorare la produttività dei lavoratori
Molti dei software presenti sul mercato erano stati creati ben prima della pandemia perché, nel resto del mondo, il fenomeno smartworking era già esistente (con norme ad hoc, a differenza dell’Italia). Ma le restrizioni hanno acuito il ricorso al tele-lavoro a livello globale, amplificando la volontà delle aziende di controllare a distanza i propri dipendenti. Software di vario tipo che rappresentano un vero occhio permanente (indiscreto, ma presentissimo). Ci sono quelli che si “limitano” a bloccare l’accesso a determinati siti (come i social network) o applicazioni durante le ore di lavoro, quelli che “catturano” schermate random del pc a distanza. Poi ci sono quei software che servono per monitorare le sequenze di tasti (anche click del mouse) per carpire il comportamento del dipendente.
E i confini della privacy?
Tutto in nome della verifica delle produttività. Questo dicono le aziende che hanno deciso di utilizzare bossware per controllare i propri lavoratori a distanza. E, come spiega il Guardian, questo fenomeno è destinato a diventare sempre più imponente nei prossimi anni. Ed è qui che serve una regolamentazione – almeno continentale, per quel che riguarda l’Unione Europea – per porre dei paletti ai controlli a distanza. Fin dove si può spingere un’azienda nel controllo delle attività di un suo dipendente che lavora da remoto? Cosa si può monitorare? Serve la consapevolezza del lavoratore nel saper di essere costantemente “spiato” durante le sue ore di lavoro? Perché il rischio è sempre lo stesso: utilizzare software basati sull’intelligenza artificiale (senza demonizzarla, perché si tratta di una evoluzione importante ma il suo utilizzo deve essere necessariamente normato) per puntare un occhio perpetuo su una persona rischia di provocare un effetto domino sui diritti dei lavoratori stessi. Perché in nome della verifica della produttività, si rischia di superare quel tenue confine tra il legittimo e il non legittimo.