Chi è Behrouz Boochani, il rifugiato iraniano che ha vinto un premio per il libro scritto via Whatsapp
01/02/2019 di Gaia Mellone
Behrouz Boochani è un giornalista di etnia curda. Nel 2013 ha lasciato l’Iran dopo che diversi suoi colleghi erano stati arrestati. Il suo viaggio attraverso il sudest asiatico lo ha portato fino all’isola di Natale, nell’Oceano Indiano a sud dell’Indonesia, politicamente appartenente all’Australia e situata nell’Oceano Indiano a sud dell’Indonesia. Da lì è stato portato nel centro per rifugiati di Manus Island dove ha assistito a torture, crimini e violenze. E ha deciso di raccontarle via whatsapp. Dalla sua terribile esperienza è nato il libro No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison, premiato con il Victorian Prize for Literature, dal valore di 100mila dollari.
Behrouz Boochani, il rifugiato bloccato a Manus Island che ha raccontato gli orrori del centro australiano
Il centro è stato chiuso nel 2017, ma i rifugiati sono ancora bloccati lì, impossibilitati a sbarcare in Australia. Questo perché la politica migratoria del governo prevede di non accettare nessuno che arrivi via mare. «Non è perché sono persone cattive» aveva detto il primo ministro australiano Malcolm Turnbull a Donald Trump in una telefonata trapelata, «È perché, per fermare i contrabbandieri, abbiamo dovuto privarli del prodotto. Così abbiamo detto, se provi a venire in Australia in barca, anche se pensiamo che tu sia la persona migliore del mondo, anche se sei un genio del premio Nobel, non ti lasceremo entrare». Il video NO Way che vuole scoraggiare i migranti è arrivato all’attenzione italiana dopo essere stato citato da Matteo Salvini.
Behrouz Boochani, vince il premio Victorian Prize for Literature scrivendo su Whatsapp: «È una vittoria per gli esseri umani»
Ma nel centro di Manus Island si sono consumati grandi orrori: e Behrouz Boochani ha deciso di raccontarli. Non avendo un computer, ha cominciato a scrivere su Whatsapp, mandando i testi in lingua farsi al suo amico Omid Tofighian, che le ha tradotte in inglese. «WhatsApp è come il mio ufficio. Non ho scritto su carta perché ai tempi le guardie perquisivano la nostra stanza ogni settimana, oppure ogni mese. Avevo paura di perdere ciò che avevo scritto» ha raccontato alla Bbc. I suoi racconti sono diventati un libro, No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison, che è stato ora premiato con il Victorian Prize for Literature. Il giornalista, che ora scrive per il The Guardian, ha raccontato al quotidiano britannico che il suo obiettivo principale «è sempre stato quello di far capire agli australiani e alle persone di tutto il mondo come questo sistema abbia torturato persone innocenti in maniera sistematica per quasi sei anni, a Manus e Nauru». I centri per i rifugiati Australiani sono stati più volte denunciato dalle Ong e da diverse associazioni internazionali. «Spero che questo premio porti più attenzione sul problema per mettere fine a questa politica barbara» ha aggiunto Boochani. Il riconoscimento del valore di 100mila dollari è stato accettato dall’autore «con umiltà»: «Vorrei dire che questo premio è una vittoria. È una vittoria non solo per noi, ma per la letteratura e l’arte e, soprattutto, è una vittoria per l’umanità» ha detto nel discorso di accettazione pubblicato dal Guardian. «Una vittoria per gli esseri umani, per la dignità umana – continua – Una vittoria contro un sistema che non ci ha mai riconosciuti come esseri umani. È una vittoria contro un sistema che ci ha ridotto a numeri».
Behrouz Boochani: «Non sono un idealista, credo nel potere della letteratura»
Boochani, nel discorso di ringraziamento, ha raccontato di essere riuscito a proteggere la sua identità costruendosi un’immagine mentale. Per ricordarsi chi era, le cose in cui credeva, mentre veniva umiliato, spogliato e maltrattato dagli operatori. Questo premio per lui «dimostra che le parole hanno ancora il potere di sfidare sistemi e strutture inumani. Ho sempre detto che credo nelle parole e nella letteratura. Credo che la letteratura abbia il potenziale per cambiare e sfidare le strutture del potere. La letteratura ha il potere di darci la libertà». Behrouz continua ricordando che «sono stato in una gabbia per anni ma in tutto questo tempo la mia mente ha sempre prodotto parole, e queste parole mi hanno portato oltre i confini, mi hanno portato oltreoceano e in luoghi sconosciuti. Credo davvero che le parole siano più potenti delle recinzioni di questo posto, di questa prigione». «Questo non è solo uno slogan di base. Non sono un idealista. Non sto esprimendo le opinioni di un idealista qui – continua – Queste parole provengono da una persona che è stata tenuta prigioniera su quest’isola per quasi sei anni. Una persona che ha assistito a una tragedia straordinaria si svolge in questo luogo».
(credits immagine: Instagram behrouzboochani)