Il ruolo di Atalanta-Valencia nel contagio da Covid-19, Galli: «Probabile importante veicolo di contagio»

21/03/2020 di Redazione

Bergamo, Valencia, Milano. Tre città coinvolte da uno degli eventi sportivi più importanti dell’anno (la partita di andata degli ottavi di Champions Atalanta-Valencia, che si è giocata a San Siro come tutti i match degli orobici), tre città che stanno sperimentando duramente il contagio da coronavirus in questi giorni, a un mese di distanza da quella partita che si è disputata il 19 febbraio davanti a 45mila persone. Secondo l’infettivologo Massimo Galli, direttore del Sacco di Milano, è possibile che quella partita sia stata un «importante veicolo di contagio». Lo dice a Paolo Berizzi di Repubblica, che ha cercato di ricostruire la storia di quella partita, al di là del risultato sul campo (uno storico 4-1 per l’Atalanta).

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Atalanta-Valencia possibile vettore del contagio da coronavirus

Che i contagi da coronavirus fossero presenti già prima della partita nelle due aree intorno a Bergamo e a Valencia è dimostrato dai resoconti: il 13 febbraio muore un uomo nella regione Valenciana che, dopo l’autopsia, risulterà positivo al coronavirus, il 14 febbraio a Zogno, in provincia di Bergamo, una persona che ha partecipato alla cena di San Valentino era risultato positivo. Cinque giorni dopo, la storia è nota con l’esodo dei tifosi del Valencia a Milano e l’altrettanto numeroso esodo dei bergamaschi nel capoluogo: i tifosi passeggiano in piazza Duomo, si incontrano in metropolitana. Tutte cose che sembrano potenziali veicoli di contagio. La storia di Bergamo e della regione Valenciana in Spagna, quindici giorni dopo, è nota a tutti.

Atalanta-Valencia, ma non solo: la follia del calcio rimasto aperto fino all’ultimo

Gli scambi calcistici sull’asse Spagna-Italia in quei giorni erano stati davvero molto frequenti. Si pensi, per esempio, a un altro evento importantissimo sempre legato al calcio. Napoli-Barcellona è un’altra partita di Champions League, il risultato non è storico come a Milano (le due squadre non sono andate oltre un pareggio per 1-1), ma si è trattato comunque di una manifestazione di massa, alla vigilia del contagio da coronavirus. La partita si è giocata una settimana dopo quella dell’Atalanta, il 25 febbraio. Nell’aria c’era molto più di un’avvisaglia di quello che stava succedendo. Eppure, ci sono stati comunque 45mila spettatori a riempire gli spalti del San Paolo, ci sono stati comunque gli arrivi all’aeroporto e tutto ciò che caratterizza la vigilia di una partita.

Ora, non si può certo imputare solo al calcio la responsabilità di quanto sta succedendo a livello di epidemia in Italia, anche perché – facendo riferimento a Napoli-Barcellona, i contagi in Campania non possono essere paragonati a quelli nella zona di Bergamo. Tuttavia, è evidente come gli eventi di massa possano aver giocato il ruolo di vettore del virus, per la loro stessa natura: contatti ravvicinati, una certa promiscuità, una spensieratezza che ci fa abbassare le difese e che, a volte, ci fa mettere in secondo piano le precauzioni. Alla luce di tutto questo appare ancor più insensata la scelta della Serie A di giocare fino all’ultimo momento, sospendendo il campionato solo quando era evidente a tutti che non si sarebbe potuto andare più avanti.

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