Il carabiniere disse di Cucchi: «Magari morisse, li mortacci sua»

24/10/2018 di Redazione

Ci sono delle parole i cui echi fanno ancora molto male, anche a distanza di tempo. Quelle pronunciate da uno dei carabinieri imputati nel secondo processo sulla morte di Stefano Cucchi fanno davvero rabbrividire, nonostante siano passati ormai 9 anni dalla data in cui vennero pronunciate.

Vincenzo Nicolardi pronunciò la frase: «Magari morisse, li mortacci sua»

Il carabiniere imputato (uno dei cinque coinvolti nella tragica vicenda della morte del geometra romano) Vincenzo Nicolardi avrebbe affermato, il giorno dopo l’arresto di Stefano Cucchi, «Magari morisse, li mortacci sua». Una frase colma di disprezzo nei confronti di una persona che era stata condotta in caserma e che di lì a poco avrebbe perso la vita per una serie incredibile di violenze e di negligenze.

La frase è contenuta all’interno degli atti presentati questa mattina dall’accusa alla I Corte d’Assise del Tribunale di Roma, che sta valutando la posizione dei militari dell’Arma coinvolti nella storia. Sempre all’interno di questi documenti, emergono ulteriori dettagli circa le responsabilità dei carabinieri sulla morte del ragazzo romano e sulle omissioni delle comunicazioni riguardo Stefano Cucchi.

La riunione ‘tipo alcolisti anonimi’ sulla morte di Stefano Cucchi

Il generale Vittorio Tomasone, allora in servizio, convocò una riunione otto giorni dopo la morte di Stefano Cucchi, all’interno della quale furono invitati a parlare tutti i carabinieri coinvolti a vario titolo nel decesso del ragazzo romano. «Quella riunione – si legge negli atti – fu tipo gli alcolisti anonimi: tutti noi ci sedemmo attorno a un tavolo e iniziammo a parlare del ruolo che ciascuno di noi aveva avuto nella morte di Cucchi».

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