Alla fine, la maestra di Torino che augurò la morte ai poliziotti è stata licenziata

13/06/2018 di Redazione

Lavinia Flavia Cassaro, la maestra di Torino che lo scorso 22 febbraio aveva protestato contro i poliziotti nel corso della manifestazione anti-fascista, in opposizione ai militanti di CasaPound. La maestra, docente di una scuola primaria all’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Torino, era stata ripresa dalla trasmissione Matrix mentre rivolgeva un augurio di morte alle forze dell’ordine. Nella giornata di ieri, 12 giugno 2018, alla donna è stata recapitata la lettera di licenziamento, inviata dall’Ufficio Scolastico Regionale.

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Maestra Torino licenziata, la motivazione

«Ricorreremo al tribunale del lavoro – ha affermato il sindacalista Cosimo Sarinzi, rappresentante Cub Scuola -. Non meritava la sanzione massima e definitiva, la pena deve essere sempre proporzionale ai fatti commessi». Ma l’Ufficio scolastico regionale è stato inflessibile. La sua decisione è stata motivata dal fatto che la sua immagine è entrata pesantemente in contrasto con i doveri inerenti la funzione educativa e, inoltre, la sua presenza in classe non avrebbe costituito un buon esempio per gli alunni, per le loro famiglie e per i colleghi.

Il ricorso cercherà di far leva sul fatto che Lavinia Flavia Cassaro, al momento delle proteste, non era in servizio e non stava rivestendo la propria funzione di docente. Inoltre, verrà ribadito che l’unica sua colpa sarebbe stata quella di manifestare in maniera troppo energica le sue idee politiche.

Maestra Torino licenziata, pronto il ricorso contro la decisione

Il primo a chiedere una espulsione immediata della docente era stato Matteo Renzi che, nel corso della trasmissione Matrix, aveva visto il video delle urla della donna alla manifestazione di Torino. Il licenziamento di un docente avviene soltanto in casi gravi come le assenze ingiustificate dalla scuola, il rifiuto senza motivo valido di un trasferimento disposto dall’amministrazione, la falsa attestazione della presenza in servizio e altre false dichiarazioni, la reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste, la condanna penale definitiva in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Fino a questo momento, tuttavia, nessuna delle precedenti condizioni sussiste. Anche su questo aspetto, quindi, cercherà di far leva il ricorso da presentare nei prossimi giorni contro la decisione.

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