La vera storia dei corsi in inglese vietati al Politecnico di Milano

Sta suscitando una certa polemica la sentenza del Consiglio di Stato che vieta i corsi interamente in inglese al Politecnico di Milano. Sui social è montata una certa indignazione.

POLITECNICO MILANO E IL DIVIETO SU L’INGLESE. BASTA LEGGERSI LA SENTENZA

Ma le cose non stanno esattamente così. La decisione del Consiglio di Stato arriva dopo un lungo iter che aveva coinvolto anche la Corte Costituzionale, la quale non aveva rilevato profili di incostituzionalità nella decisione dell’ateneo. Giustamente, diremmo noi. Il Consiglio di Stato però ha confermato un precedente provvedimento del Tar al quale erano ricorsi numerosi docenti.
«Finalmente, una volta tanto, è arrivata la pronuncia definitiva che dà ragione totalmente e integralmente alla lingua italiana. Una bellissima vittoria», ha commentato il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini. Il rettore del Politecnico, Ferruccio Resta, anche se amareggiato si aspettava questo tipo di decisione. E già! Perché?

La nuova sentenza del Consiglio di Stato, resa pubblica il 29 gennaio 2018, applica i principi guida contenuti nella sentenza n. 42 della Corte Costituzionale (decisione del 21/02/2017) e respinge definitivamente il ricorso in appello presentato dal MIUR e dal Politecnico. Questo perché il Consiglio di Stato ribadisce l’importanza e la funzione della lingua italiana in nome della tutela del patrimonio culturale, del principio d’eguaglianza, della libertà d’insegnamento e dell’autonomia universitaria.

Perché, se si scorrono le righine prima di pensare di trovarsi nel Medioevo si capirà come non possano esser contemplati interi corsi in inglese. «Anche in settori nei quali l’oggetto stesso dell’insegnamento lo richieda», spiegano sul dispositivo. Perché provocherebbe un «illegittimo sacrificio» dei principi costituzionali del primato della lingua italiana richiamati dalla Corte Costituzionale.

Prima di tutto perché interi corsi di inglese «estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall’insegnamento universitario di interi rami del sapere» e «imporrebbe, quale presupposto per l’accesso ai corsi, la conoscenza di una lingua diversa dall’italiano, così impedendo, in assenza di adeguati supporti formativi, a coloro che, pur capaci e meritevoli, non la conoscano affatto, di raggiungere “i gradi più alti degli studi”, se non al costo, tanto in termini di scelte per la propria formazione e il proprio futuro, quanto in termini economici, di optare per altri corsi universitari o, addirittura, per altri atenei». 

Non solo. Secondo il Consiglio insegnare totalmente in inglese può esser lesivo della libertà di insegnamento, sottraendo al docente la scelta sul «come comunicare con gli studenti, indipendentemente dalla dimestichezza ch’egli stesso abbia con la lingua straniera». Impossibile quindi erogare un intero corso di laurea in inglese. Ma l’ateneo può affiancare all’erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, anche in considerazione della «specificità di determinati settori scientifico-disciplinari».

Quindi il problema – secondo il Consiglio – non è insegnare in inglese ma insegnare totalmente in inglese.

(foto ANSA-Bazzi)

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