Come Apple si è inserita nella disputa tra Cina e Taiwan

Ha chiesto ai prodotti realizzati nell'isola di utilizzare la dicitura Made in China. La sovranità cancellata, in una sola etichetta

08/08/2022 di Gianmichele Laino

La scelta è di quelle che non ti saresti mai aspettato. O forse sì. Perché, in fondo, gli affari sono affari e le tensioni internazionali non possono minare ancora di più un mercato già abbondantemente provato da quello che sta succedendo in Ucraina, con l’invasione russa. Ecco perché la mossa di Apple, in fondo, non era così inaspettata: è solo la diretta conseguenza del capitalismo delle Big Tech, che rende questi colossi delle nazioni a parte, in grado di superare gli steccati e di condurre delle proprie manovre diplomatiche. Il colosso di Cupertino, che produce – com’è ovvio – anche a Taiwan, ha chiesto che tutto ciò che viene fuori dalla catena di produzione dell’isola sia etichettato con la dicitura made in China e non con quella made in Taiwan.

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Apple su Taiwan e la richiesta di etichettare i prodotti come “made in China”

Apple dipende molto dai chip prodotti a Taiwan. Se le sue merci venissero bloccate sull’isola a causa di un problema burocratico, probabilmente potrebbe ritardare di molto l’immissione sul mercato dei suoi ultimi dispositivi. Rallentando ulteriormente le esportazioni, in un momento in cui gli equilibri internazionali sono estremamente fragili. Una legge cinese impone già ai prodotti realizzati a Taiwan di indicare chiaramente il proprio legame con il territorio di Pechino. Tuttavia, c’era sempre stato modo di aggirarla, nonostante la stretta sorveglianza della Cina. Adesso è Apple a dare delle indicazioni ai propri stabilimenti, per evitare – appunto – che un eventuale cavillo burocratico (rappresentato, ad esempio, dalla dicitura made in Taiwan) possa creare tensioni con il governo di Pechino. E allora eccolo qui, il colpo di spugna: cancellare qualsiasi rivendicazione di sovranità, semplicemente inserendo una frase meccanica in una etichetta.

Succede anche questo nel XXI secolo delle macchine, quello della digitalizzazione a tutti i costi e della dipendenza dagli strumenti informatici. Cosa importa della storia dei popoli? In fondo, ciò che conta è produrre.

Apple, tra le altre cose, non ha mai fatto mistero di cercare il dialogo soprattutto con la Cina. Poco più di sei mesi fa, una rivista tecnologica, The Information, aveva avuto modo di accedere a documenti che testimonierebbero un accordo di lungo termine firmato da Tim Cook, capo di Apple, con la Cina. Il tutto per evitare pubblicità ingannevole sui suoi prodotti messi in vendita a Pechino: un patto di desistenza, che sarebbe costato diverse decine di miliardi di dollari alla casa di Cupertino. Se non li puoi battere, insomma, unisciti a loro.

Il mercato cinese è importante per Apple. La multinazionale della mela morsicata ha base produttiva in Cina e, secondo alcune stime, per le strade del Paese del Dragone genera circa un quinto dei propri ricavi. Per questo motivo, anche dal punto di vista diplomatico, Apple è scesa più volte a patti con il governo cinese. Anche nell’ambito di una possibile crisi internazionale (quella che ha portato i militari cinesi a fare delle esercitazioni molto spinte intorno alle coste dell’isola di Taiwan), Cupertino sembra aver già scelto da che parte stare.

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