«L’influencer marketing ha bisogno di regole, anche nella comunicazione»

La seconda parte dell'intervista ad Andrea Croce, CEO e founder della piattaforma PopulaRise

13/02/2024 di Enzo Boldi

Solo qualche settimana fa, Agcom ha pubblicato le linee guida per gli influencer a cui – di fatto – vengono date le stesse responsabilità (sui contenuti che pubblicano) che oggi hanno gli editori dei media audiovisivi. Quell’applicazione della maggior parte dei paletti del TUSMA (Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi) è stata accolta con un entusiasmo distopico da parte degli attori protagonisti di questa vicenda. Ma c’è un punto su cui tutti c’è stata una convergenza praticamente plebiscitaria: le comunicazioni dei content creator devono essere trasparenti, soprattutto per quel che riguarda i contenuti pubblicitari e/o sponsorizzati. Con Andrea Croce, CEO e founder della piattaforma PopulaRise, abbiamo analizzato questo aspetto che è fondamentale per il presente e il futuro dell’influencer marketing.

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Come spiegato dallo stesso Andrea Croce a Giornalettismo, la sua piattaforma – nata nel 2021 – ha come obiettivo principale quello di invertire il paradigma alla base dell’influencer marketing. Pur orbitando all’interno di questa sfera semantica solamente a latere, l’idea di rendere “ambassador” i singoli utenti a prescindere dal numero di follower sembra essere il principio alla base del futuro dei social network.

Andrea Croce (PopulaRise) sulle linee guida influencer

Proprio su questo – e sulle linee guida pubblicate da Agcom, in attesa del tavolo tecnico – il CEO di PopulaRise punta tutto sul principio della trasparenza nelle comunicazioni: «Il concetto di base è, sostanzialmente, non tradire la fiducia sostanzialmente dei propri follower. Se io pubblicizzo un prodotto è perché ci credo in quel prodotto, perché mi trovo bene con quel prodotto. Poi, magari, mi trovo bene io, ma non si trovano bene altre persone. Questo può ovviamente succedere perché poi i gusti sono personali. Però, se lo faccio con in maniera autentica, innanzitutto la campagna avrà più successo perché si vede quando c’è veramente un amore verso il prodotto e quando invece c’è solo puro e semplice interesse. Di conseguenza, la campagna performa anche male nei confronti del brand. Diciamo che la trasparenza, la correttezza e l’autenticità della comunicazione è quello a cui bisogna tendere, sia che si faccia influencer marketing, sia che si faccia poi parte di un sistema più di advocacy, in qualche modo come il nostro, in cui non si ha a che fare con professionisti, ma con persone che amano quei prodotti e hanno piacere di pubblicizzarli in cambio di crediti». 

Il “caso Ferragni” e non solo

Perché la credibilità di influencer e content creator ha subìto una forte scossa nel corso degli ultimi mesi, con una (in realtà molteplici) vicenda che ha fatto esondare il malcontento e la delusione degli utenti presenti sulle piattaforme social: «In realtà, il caso Ferragni non tocca neanche l’influencer marketing, perché quello che è successo è di base una problematica – come è stata definita anche da lei – di comunicazione di quello che era in realtà. Chiara Ferragni è ormai un’azienda, quindi è un’azienda che sostanzialmente ha violato quello che era il rapporto di fiducia con i propri clienti o follower. E sta pagando per questo». 

Da qui, secondo Andrea Croce, l’esigenza di regole generali per rendere le comunicazioni – e l’influencer marketing – più trasparente: «Questo è mercato che va regolamentato. Non solo a livello di charity, ma anche a livello di comunicazione. Io vivo quotidianamente sui social e mi rendo conto che ci sono delle campagne che hanno che puzzano di fraudolento dall’inizio alla fine: dai criptoguru, a qualunque altra cosa che tentano di vendere in maniera ambigua. Indubbiamente, tutte le campagne pubblicitarie devono sottostare a delle regolamentazioni anche piuttosto rigide ed è bene che l’influencer marketing venga regolato e che si crei una sorta di codice etico per far sì che il lavoro di fatto dagli influencer sia un corretto nei confronti di chi di chi li segue. C’è anche da dire che, comunque, tendenzialmente il consumatore non è stupido. Quindi, quando poi i consigli che gli influencer danno non sono poi effettivamente validi, tendono a perdere credibilità. Questo è il trend che ha portato alla alla caduta delle superstar che pubblicizzavano qualunque cosa e finivano poi per non essere più credibili su nulla. Perché dopo è facile capire che dietro ogni suggerimento, ogni advertising, che pubblica c’è dietro un interesse economico e non un suggerimento genuino e sano». 

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