I gilet gialli e i violenti insulti antisemiti al filosofo figlio di sopravvissuti di Auschwitz | VIDEO

Le immagini hanno fatto il giro della rete e hanno dimostrato ancora una volta di più la violenza di una certa parte di gilet gialli in Francia. A farne le spese, questa volta, è il filosofo Alain Finkielkraut, incrociato da alcuni manifestanti nel quartiere di Montparnasse a Parigi. Quando lo hanno visto, sono partiti immediatamente gli insulti antisemiti della peggiore specie: «Sporco ebreo, sionista di merda» e altre frasi impronunciabili.

Alain Finkielkraut e gli insulti antisemiti dei gilet gialli

Un vero e proprio atto oltraggioso, nei confronti di un incredulo Alain Finkielkraut, figlio di due sopravvissuti ai campi di concentramento di Auschwitz. La sua colpa? Aver definito «barbarie» dalle colonne del prestigioso giornale Le Figaro il movimento e le proteste violente dei gilet gialli che, dal mese di dicembre del 2018, mettono a ferro e fuoco le strade delle città dove vanno a manifestare, anche dopo che il governo di Emmanuel Macron ha adottato delle misure favorevoli alle ragioni della protesta.

La difesa di Macron a Alain Finkielkraut

A difesa di Finkielkraut si è schierato anche il presidente della Repubblica francese, che ha affidato il suo pensiero a un messaggio su Twitter: «Gli insulti antisemiti che ha subìto Finkielkraut – ha detto – sono la negazione assoluta di chi siamo e di ciò che ci rende una grande nazione. Non li tollereremo». Nelle immagini, che sono rimbalzate sui media di tutto il mondo e che segnalano una volta di più come sia sbagliato proporre alleanze politiche a chi utilizza questo tipo di violenza, si vedono delle persone incappucciate o a volto semicoperto inseguire il filosofo che, almeno all’inizio, prova a cercare una spiegazione per quella violenza verbale.

Alain Finkielkraut è stato portato via, per evitargli forme di contestazione ancora più estreme. Ma il video che mostra gli insulti antisemiti a una personalità del mondo della cultura che, attraverso l’esperienza personale, può documentare al mondo l’orrore dei campi di sterminio resta l’ennesima macchia indelebile di una protesta che, almeno nei toni e nelle modalità, non può essere condivisa.

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