A che punto siamo con l’accessibilità digitale in Italia?
Il nostro Paese è stato tra i pionieri delle normative per consentire l'egual diritto di utilizzo di Internet a tutti i cittadini. Ma i dati sono impietosi
11/01/2023 di Enzo Boldi
Quello che poteva essere un pregio, un esempio per tutti gli altri (come accaduto per la PEC), non ha prodotto i risultati sperati. Perché la situazione dell’accessibilità digitale in Italia è tutt’altro che rosea, nonostante il nostro Paese sia stato tra i pionieri nel porre l’attenzione – anche a livello legislativo – sul diritto di uguaglianza nell’accesso alla rete (partendo dai portali del servizio pubblico) per tutti i cittadini. Ovviamente, con il passare del tempo le nuove tecnologie hanno portato a nuove dinamiche e ora che l’Europa ha mosso passi concreti in direzione dell’abbattimento delle barriere architettoniche tecnologiche e digitali, a breve l’interno mondo della rete dovrebbe riuscire a uniformarsi.
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Prima di andare ad analizzare il percorso normativo sull’accessibilità digitale in Italia, occorre porre l’accento su alcuni aspetti. Il percorso per standardizzare la maggior parte dei portali relativi ai servizi pubblici è stato lungo e complesso, ma grazie all’intervento dell’Europa (prima nel 2016, poi nel 2019) e il recepimento delle linee guida della WCAG 2.1, con il passare del tempo si è arrivati – anche nel nostro Paese – a offrire al pubblico una vasta quantità di siti della Pubblica Amministrazione che rispondono anche alle necessità delle persone con una o più disabilità. Infatti, come spiega il sito ufficiale dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), con il termine accessibilità «si intende la capacità dei sistemi informatici di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari».
Leggi e normative nel nostro Paese
La storia, più che altro potremmo parlare di “attenzione”, dell’accessibilità digitale in Italia risale addirittura all’inizio del nuovo Millennio, con la pubblicazione della Legge numero 4 del 9 gennaio del 2004. La normativa, firmata da Lucio Stanca – all’epoca Ministro per le Innovazioni e le Tecnologie del governo Berlusconi II -, conteneva “disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” ed è entrata in vigore nel 2005. Per la prima volta in Italia, relativamente al mondo del digitale e della rete – vengono utilizzati due concetti su cui poi si baseranno una serie di normative europee: accessibilità e tecnologie assistive. Un primo passo rivolto alla Pubblica Amministrazione e ai servizi pubblici che dovevano rispettare standard di accessibilità per consentire a tutti i cittadini una parità di accesso ai servizi informatici.
La “Legge Stanca” non è una norma stantia. Come previsto dal decreto attuativo che l’ha resa vigente, infatti, questa norma deve essere continuamente aggiornata: sia per quel che riguarda l’evoluzione delle tecnologie (e negli ultimi 20 anni i cambiamenti sono stati epocali, anche parlando esclusivamente del sempre più diffuso utilizzo di Internet), sia per quel che concerne gli eventuali (che sono puntualmente arrivati con il passare del tempo) aggiornamenti normativi europei. E, infatti, l’Italia ha già recepito le due direttive: quella del 2016 (attraverso un decreto legge ad hoc) e lo European Accessibility Act – EAA – del 2019) arrivate dalle istituzioni UE.
Molti anni dopo, nel 2020, all’interno del cosiddetto Decreto Semplificazioni, è arrivato il nuovo aggiornamento della Legge Stanca, con le integrazioni recepite direttamente dal EAA: le disposizioni e gli standard da rispettare per quel che riguarda l’accessibilità ai siti web non è più limitata esclusivamente al settore pubblico (PA e altro), ma anche ai soggetti privati che hanno un portale online. Dunque, i primi mattoncini per rendere Internet un posto (non fisico) accessibile a tutti – con la scadenza indicata dall’Unione Europea del 28 giugno 2025 – risalgono a 5 anni fa.
Accessibilità digitale in Italia, a che punto siamo
Tutte queste premesse normative (ricordando che la deadline per uniformare tutti i siti online è il 28 giugno del 2025) hanno prodotto risultati nel nostro Paese. La risposta, purtroppo, è negativa. Mentre la situazione è ancora in fieri, infatti, la quasi totalità di portali relativi alla Pubblica Amministrazione e ai servizi pubblici – comprese le app mobile – si è adeguata ai nuovi standard. Ma il resto dell’universo online ancora è fermo. Gli ultimi dati, di cui ha parlato anche AdnKronos nel luglio del 2022, mostrano un risultato assai deludente: il 97% dei portali (attivi) attualmente in rete, non risulta essere navigabile da persone con disabilità come ciechi, ipovedenti, non udenti, daltonici, epilettici e altri utenti che non sono in grado di muovere il cursore attraverso il mouse. Nonostante la pandemia da Covid (e quella fase transitoria caratterizzata dal lockdown e dallo smartworking) avesse fatto luce sulla necessità di digitalizzare quanto più possibile.