Quali sono i dati utenti condivisi per cui Grindr ha ricevuto una multa di 9,6 milioni

Condividere i dati di persone LGBTQ+ senza consenso può portare a conseguenze molto gravi mettendo in pericolo alcuni individui

26/01/2021 di Ilaria Roncone

Grindr, la più celebre app di dating per uomini gay, è stata multata per 9,6 milioni di euro – un terzo dei profitti del 2019 ovvero 25,5 milioni – per una sentenza emessa dal Garante norvegese. L’accusa è quella di aver condiviso i dati dei propri utenti e all’applicazioni di dating è stato dato fino al 15 febbraio per rispondere e fornire prove che respingano l’accusa. Tutta una serie di dati sensibili, con conseguente violazione privacy utenti Grindr, sarebbero stati consegnati a data broker come come MoPub di Twitter e Xandr (legato alla compagnia telefonica At&t).

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Violazione privacy utenti Grindr

Sono milioni gli utenti di Grindr interessati a questa sentenza visto che i loro dati sono stati condivisi senza il loro esplicito consenso, quindi in maniera illegale, verso centinaia di inserzionisti. La denuncia per questa questione era stata presentata in data 14 gennaio 2020 dal Norwegian Consumer Council (Ncc) e da Noyb, un’associazione europea che si occupa di proteggere la privacy fondata da Max Schrems, attivista austriaco per i diritti digitali. Non c’è stato nessun tipo di consenso valido da parte degli utenti perché Grindr procedesse e, tra le altre cose, sono stati condivisi dati personali come la posizione geografica o anche il solo fatto di essere utenti di Grindr con tutto quello che ne consegue.

Resa nota anche l’appartenenza alla comunità LGBTQ+

Quello che è successo è che la privacy di tutte le persone coinvolte è stata violata anche dal momento in cui è stata resa nota la loro appartenenza alla comunità LGBTQ+. Si tratta di una violazione della legge di protezione dati europea perché secondo il Gdpr deve esserci un permesso inequivocabile, informato, dato liberamente e specifico. La gravità della questione aumenta dal momento in cui, come ha fatto notare Tobias Judin – capo dell’Autorità norvegese per la protezione dei dati -, il fatto di sapere che quelle persone sonio parte della comunità LGBTQ può metterle in pericolo nel loro paese (ad esempio in Qatar o in Pakistan, dove intrattenere relazioni con lo stesso sesso è illegale). «Se si scopre che qualcuno è gay e si scopre la sua posizione, questa persona potrebbe essere danneggiata», ha chiarito, «e stiamo cercando di far comprendere a queste applicazioni che un approccio del genere – non informare gli utenti e non ottenere il loro esplicito consenso alla diffusione dei dati – è assolutamente inaccettabile».

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