«Google ci sta andando davvero cauto con Bard»
L'analisi di Vincenzo Cosenza, che ha testato l'intelligenza artificiale del colosso di Mountain View, ha spiegato le ragioni della prudenza su questo nuovo prodotto
24/03/2023 di Gianmichele Laino
Per testare Bard, oggi, in Italia c’è bisogno di una VPN e di mettersi in lista d’attesa per avere il permesso di poter utilizzare, in versione demo, le funzionalità del prodotto di intelligenza artificiale di Google. Si tratta, come abbiamo spiegato, dello strumento che il colosso di Mountain View sta utilizzando in risposta a ChatGPT e all’impiego che Microsoft ne ha fatto per implementare le funzionalità del motore di ricerca proprietario, Bing. Vincenzo Cosenza, marketing consultant che svolge una importante attività di divulgazione in merito a tutti i nuovi fenomeni che attraversano l’ecosistema digitale, è riuscito a testarlo nelle sue primissime fasi. E la sua impressione è quella di un prodotto realizzato con un approccio estremamente prudente.
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Vincenzo Cosenza su Bard: la descrizione del test
«C’è un fatto – spiega Vincenzo Cosenza a Giornalettismo -: Google ha adottato un approccio cauto. Essendo più grande di una realtà come quella di Open AI deve stare attenta ai contraccolpi». È il caso – che vi abbiamo descritto – di una interrogazione di Bard che ha dato una risposta sbagliata è costata cara a Google e alle sue azioni a Wall Street. «Qualunque effetto negativo – ricorda Cosenza – può essere amplificato dai media. Nonostante il modello che sta alla base di Bard sia più ampio di Open AI, le sue risposte vengono limitate. Il risultato è quello di avere un risultato impersonale, non creativo, non “umano” come quello prodotto da ChatGPT. L’approccio, insomma, è freddo e robotico. Del resto, sin dall’interfaccia iniziale è riportato che Google si solleva da qualsiasi responsabilità rispetto alle risposte che Bard fornisce».
Il modello di Bard, in effetti, è stato addestrato su un corpus di fonti molto più ampio rispetto a quello su cui può contare Open AI. Ha sicuramente letto e appreso di più e – nonostante questo – presenta molte limitazioni rispetto a quello che potrebbe fare. Almeno in questa fase. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo il fenomeno della cosiddetta allucination, soprattutto su tematiche difficili. Quindi – considerando l’effetto che ha sui conti di Google una risposta sbagliata di un prodotto (anche se in fase di test) – è facile capire perché il colosso di Mountain View abbia voluto utilizzare un approccio prudente.
«Bard, in ogni caso, è sicuramente più aggiornato di ChatGPT – continua Cosenza -. Riesce a darti delle risposte su avvenimenti più recenti, al contrario del suo competitor. In più, per ogni risposta, c’è un collegamento al motore di ricerca di Google: se la risposta dell’AI non è stata soddisfacente, Google propone il vecchio metodo dei record di ricerca. Anche questo è un altro esempio di approccio cauto». In effetti, con questa mossa – sintetizzata in un semplice bottone che effettua uno switch da Bard al motore di ricerca – Google sta provando a spiegarci un concetto molto preciso: l’AI non può sostituire, almeno nelle intenzioni di Mountain View, il motore di ricerca in sé (cosa su cui, invece, Microsoft sta provando a osare di più, rendendo Bing – nei fatti – un motore di ricerca basato sull’AI). Bard vorrebbe dimostrare che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata in maniera generativa. Mentre il messaggio che vuole far passare è quello di un utente che avrà sempre bisogno di un motore di ricerca tradizionale. Se ti chiami Google, del resto, non puoi fare altrimenti.
«Tuttavia, l’elemento di creatività – ci spiega Vincenzo Cosenza – è molto più indietro di ChatGPT. Anche il sistema di scrittura è più meccanico. Bard non riesce a imitare lo stile di un personaggio preciso. In più, quello che ho potuto notare, è che al momento non accetta input testuali in italiano. Ma forse, anche da questo punto di vista, c’è da considerare una precisa volontà di Google nel voler essere più prudente. È stata quasi una scelta etica: sembra quasi che a Google non interessi la competizione nel settore specifico dell’AI, cosa che – invece – ha spinto Open AI a osare e ad attuare delle scelte molto più estreme nel campo dell’intelligenza artificiale generativa». È come se Google, insomma, non avesse bisogno di trovare una ulteriore specificità nella sua azione, potendo contare molto sulla sua reputation nell’ambito dei motori di ricerca. Cosa che, invece, le startup più piccole devono fare per poter alzare l’asticella, approfittando delle praterie che l’applicazione dell’AI a questo campo ha permesso.
E poi c’è la Cina. «Lì c’è un doppio problema – spiega Cosenza -. Se fosse per le aziende cinesi, andrebbero avanti senza ostacoli. Tuttavia, è il governo che cerca di limitare questi prodotti perché l’ambito delle risposte non si può prevedere. Immaginate una storia falsa, creata da una AI generativa, su Xi Jinping molto diffusa sul web. Sarebbe una cosa impossibile da sostenere per il governo cinese». Nella battaglia per l’intelligenza artificiale, comunque, Google ha deciso di giocare la sua parte. Raccoglierà i feedback degli utenti, capirà se sarà utile insistere e integrarlo nei suoi prodotti o fare retromarcia. A questa altezza cronologica nulla è scontato.