Il caso della vicepresidente Nike che si è dimessa per l’attività di reselling online del figlio

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Il caso di reselling raccontato da Bloomberg che ha portato alle dimissioni della vicepresidente e general manager di Nike

Ann Hebert è, o meglio era, general manager e vicepresidente di Nike. La donna si è dovuta dimettere in seguito all’uscita dell’articolo di Bloomberg che ha dettagliatamente raccontato – il 25 febbraio – l’attività di reselling operata da suo figlio Joe Hebert. Dopo oltre 25 anni di carriera e nonostante il 19enne non avesse venduto scarpe targate Nike, la vice presidente si è dimessa per la figura barbina – volendo utilizzare un eufemismo -. L’attività di reselling – che conosciamo anche in Italia, basti pensare al recente caso delle scarpe della Lidl – veniva fatta attraverso West Coast Streetwear e la sua pagina Instagram – che non viene aggiornata da diciassette settimane -.



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Come si svolgeva il reselling del figlio di Ann Herbert

Come ricostruito da Bloomberg, Joe Herbert utilizzava la carta di credito di sua madre per comprare enormi quantità di scarpe in edizione limitata così da rivenderle a un prezzo maggiorato e creare un vero e proprio business – la pagina Instagram conta quasi 40 mila follower -. Secondo Bloomberg il giovane ha utilizzato una serie di bot per comprare 600 paia di Adidas Yeezy Boost 350. Seppure l’attività di reselling non sia vietata e la marca di scarpe in questione non sia Nike, a gennaio 2020 la pagina West Coast Streetwear ha affermato di aver trovato tre paia di Nike Mag in un garage comprato per 75 dollari. Nike Meg che, andando a cercare, sono un modello rarissimo – indossato anche nella seconda parte di Ritorno al futuro da Micheal J Fox – vendute poi per 42 mila dollari.

«Non c’è mai stata alcuna violazione di company policy»

Già nel 2018 la Herbert si era trovata a commentare le attività di suo figlio affermando che «non c’è mai stata alcuna violazione di company policy, conflitto di interessi o passaggio di informazioni, né tantomeno una affiliazione di tipo commerciale tra West Coast Streetwear e Nike». Seppure Nike abbia sostenuto questa versione, chiarendo che in effetti violazioni non ce ne sono state, alla fine sul web gli utenti hanno ritenuto poco plausibile che – avendo un business di tale portata, che si è ampliato anche vendendo abbigliamento sportivo – che non ci fosse un qualche genere di favoritismo del quale il figlio giovasse.